martedì 30 marzo 2010

senti come viene giù

E alla fine anche il cielo di Torino ha ceduto. E' strano. Da quando mi sono trasferita qui, la pioggia non è ma stata troppo presente. Neve, a volte, o freddo pungentissimo, o sole limpido, a ingigantire il già tanto spazio che c'è. Ma pioggia, poca. Ovviamente, va ecceduto il diluvio torrenziale in concomitanza con il trasloco in groppa a un furgono affatto impermeabile (i miei libri annacquati ancora ne portano le cicatrici), ma mi sono convinta che quella sia stata una prova di iniziazione, anche un tantino catartica.
Alla luce di questa dissertazione meteorologica, degna delle migliori conversazioni a corto di argomenti, si capisce perché stamattina mi ha imbambolato un pò più del necessario il rumorino picchiettante sui vetri dei miei attuali 75 metriquadri: non c'ero abituata. Chi mi conosce lo sa: le precipitazioni atmosferiche, di qualunque foggia e in qualsiasi quantità, mi affascinano, mi regalano un bislacco senso di protezione, a dispetto della canonica metereopatia.
E la mattina è passata così, costretta anche alla luce artificiale, e, mi sembra, la pioggia ha un pò lenito le ondate di malinconia pur brevi che mi trapassano da qualche giorno.
Sono uscita dall'archivio alle 4 e mezza e non pioveva più. Torino, se è inquinata, non lo fa vedere. Almeno a me. La luce del sole quasi al tramonto ha accompagnato limpida la mia passeggiata, il percorso sul tram e l'attesa al semaforo, sotto casa, riflessa nelle pozzanghere gonfie e nelle auto ripulite, loro malgrado, e ancora umide. In casa, il tramonto entra in camera da letto di prepotenza, e se guardo dalla finestra lo vedo sovrastare la strada trafficata, più dietro la fabbrica abbandonata della fiat, e i palazzi con le antenne, e alla fine, lontano, le Alpi, testardamente innevate.
E ogni tanto ho voglia di mare, nonostante tutto.

Valeria marzolina

venerdì 26 marzo 2010

raiperunanotte: il giorno dopo

E' durata 3 ore la diretta di Santoro e company da Bologna. Io l'ho vista da casa, comodamente seduta sulla poang ikea, sintonizzata su repubblicatv; avrei voluto andare in piazza Carlo Alberto, ma la pioggia torinese non mi ha facilitato il compito e le pantofole hanno vinto.
Lo ammetto, ho ceduto (appoggiata dal consorte) su Teresa de Sio, perdendomi gli ultimi dieci minuti - abilmente visti in differita: grazie dio youtube! - di Crozza, Vauro e Santoro santone in mezzo alla folla in delirio. Bilancio: sinusoidale. Momenti di approfondimento sinceramente bello, Piovani dal vivo mi ha fatto venire i brividi e il megapubblico, dentro e fuori, ha favorito un gongolamento compiaciuto. Molti momenti no, tuttavia: Morgan, vi prego, fatelo fuori, è inqualificabile. Arranca cercando di spacciarsi per intellettuale "io so' poeta e voi sapete di politica" (sottotesto: io, artista, non ho bisogno di leggere i giornali; voi, miserrimi tecnici, sarete sempre delle capre ignoranti incapaci di apprezzare il dolce deliquio dello spleen), il che mi fa vergognare abbastanza, visto che, volente o nolente, di cultura cerco di circondarmi ogni giorno. E anche la Teresa tarantellara, mio dio, che spettacolo impietoso. Quasi - e dico quasi - paragonabile alla deliranza di Alice nel paese di Burton.
Il resto, a tratti velato di una certa ridondanza, ma comunque fa piacere; mi è piaciuto Monicelli, rivoluzionario intrappolato in un corpo troppo vecchio (e, sì, troppo comodo), nonostante in studio abbiano voluto addolcirlo; mi è piaciuto, of course, Travaglio: sebbene i suoi interventi li avessi già letti sul web, sentirli dalla viva voce è sempre un'altra cosa; ho adorato Luttazzi, in pieno sfogo ottennale, liberatorio un pò per tutti, anche per quelli che di certo hanno arricciato il naso.
Postilla al tutto: mancava Bruno Vespa, sarebbe stato, a mio avviso, necessario e perfetto. Invece ci siamo accontentati di Emilio Fede in differita, banalotto e fuori fase, molto più del solito.

Valeria inabbonata rai.

giovedì 25 marzo 2010

Nessun ricordo del nome

O meglio, per essere più precisi e fedeli: «Nessun nome. Nessun ricordo oggi del nome di jeri; del nome d'oggi, domani. Se il nome è la cosa; se un nome è in noi il concetto di ogni cosa posta fuori di noi, e senza nome non si ha il concetto, e la cosa resta in noi come cieca, non distinta e non definita; ebbene, questo che portai tra gli uomini ciascuno lo incida, epigrafe funeraria, sulla fronte di quella immagine con cui gli apparvi e la lasci in pace e non ne parli più. Non è altro che questo, epigrafe funeraria, un nome. Conviene ai morti. A chi ha concluso. Io sono vivo e non concludo. La vita non conclude. E non sa di nomi, la vita. Quest'albero, respiro trèmulo di foglie nuove. Sono quest'albero. Albero, nuvola; domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo».

Il che, a dirla tutta, potrebbe sembrare strano e contraddittorio, visto che è proprio il nome a ritornare: Babele. Ma, come dire, non è più lui.
Posto che, intanto, i primi ostacoli al ritorno pedissequo si son palesati prima di subito: "babele", in quanto dominio, era già preso, e perdipiù, beffardo, da un individuo che si è fregiato di arricchire il web con un solo miserrimo post, nel lontano 2005. Vabbè, si dica: era destino.

Quindi, Babelebis, nonostante tutto.

E che ci faccio qui?
Concretizzo la voglia che mi frulla in testa da un pò, di ritornare a scribacchiare su ciò che mi capita di bello, di brutto, di bislacco e di inutile..
Perché mi appare chiaro vieppiù che la mia vita (quanta pomposità avventata! diciamo, prudentemente: la mia routine) è alquanto diversa dall'ultimo mio post, sul vecchio Babele. Diversa la città, l'attività, la compagnia, lo spirito. E i capelli, che ho tagliato.

Bon, come dicono qui (e - maledizione! - è efficace), spero che a qualcuno importi e che ogni tanto si diverta a passare da qui, per curiosare.

Valeria resort.