sabato 24 dicembre 2011

Merri Crismas

Oggi è il giorno più bello dell'anno.
Ho una famiglia tutto intorno, tutta dentro, così colorata, speciale e tribale che farebbe invidia a chiunque.
E' il giorno più bello, anche se ho metà della mia anima distante: se fosse con me, sarebbe perfetto.
E' il giorno più bello, perchè ho le mani che odorano di pesce, cucinato per diciotto persone, perché la tavola si apparecchia solo dopo aver concordato una strategia in almeno 4 persone e il più piccolo porta le forchette, perché comunque qualcuno polemizzerà sul menu, perché di sicuro qualcun'altro avrà preparato il piatto che si era deciso di non fare, ma è Natale, è la tradizione.
E' il giorno più bello, perché so che basterà uno sguardo con ciascuno, e sarà come aver detto e ripetuto e confermato tutto il bene che c'è dietro, tutta la storia e le storie, e ogni distanza, ogni sforzo fatto e non detto, ogni gioia non condivisa, ogni momento speciale. In quello sguardo c'è la radice e la sostanza di ogni azione e l'orgoglio dell'appartenenza, così raro e prezioso.

E' il 24 dicembre, domani è Natale. Oggi è il giorno più bello dell'anno.
Buona festa a tutti.

domenica 18 dicembre 2011

Mr Gwin e il resto

Ho finito di leggerlo da dieci giorni e da dieci giorni mi ripeto: devo scriverne. Mr Gwin è l'ultimo romanzo di Baricco. E già questo apre scenari bloggherecci molteplici, perché chi mi conosce da un numero a due cifre di anni sa che con questo scrittore ho avuto - e ho - un rapporto di odioamore, o meglio, nell'ordine, di curiosità, ammirazione, adorazione svergognata, idolatria, imitazione, distacco, fastidio, disprezzo, delusione, pena, prudenza e, in ultimo, dichiarata voglia di sputtanarne la tecnica.
Quello che di più ho amato di Baricco è la bravura lessicale e la capacità di avvolgerti fra le sue parole, come fa il boa constriptor con le spire.
Quello che più ho odiato di Baricco è la sua consapevolezza di detta bravura e la faccia tosta, la presunzione di pensare che chi lo legge non si accorga delle sue trovate e si lasci portare via per inerzia o ubriacatura.
Questo è il contesto. Diciamo del testo. Mr Gwin ha il merito non piccolo di avermi fatto cambiare sentimento nei confronti del suo Autore. Si badi: non sono tornata - e non intendo farlo - a nessuno di quegli adolescenziali atteggiamenti di cui dicevo prima, ma leggendo questa storia un nuovo sentimento mi si è palesato con forza: la tenerezza.
Baricco mi fa tenerezza, ma che buffo!
Sembra un bambino che vuole montare un giocattolo e non ci riesce.
Baricco vuole essere Calvino e non ci riesce.
Se qualcuno ha mai letto i Barnum di Baricco, forse ricorderà quello intitolato Palomar e Palomar. Era un articolo - il più bel pezzo mai scritto da Baricco, a mio parere, inclusi tutti i romanzi - sull'ultimo libro scritto da Calvino, Palomar appunto.«La prima pagina di Palomar è un uomo che guarda un' onda. E la descrive. Non come fosse un uomo: come se fosse uno strumento ottico. Chiunque sappia scrivere - voglio dire chiunque abbia con la scrittura un rapporto anomalo, straordinario e elettivo - conosce prima o poi quella tentazione. Astenersi dalla letteratura, e limitarsi a descrivere». Questo pezzo, se non sbaglio, è del 1994. Mr Gwin è tutto in questa frase. E' il tentativo spudorato - tenero! - di riuscire a fare ciò che faceva Calvino, senza poterci riuscire. E non perché siano sbagliati i presupposti, ma perché Baricco non ha gli strumenti. Non è, calvinianamente, «leggero», nonostante lo speri con una ferocia che fa paura.
Eppure, non mi sento di disprezzare questo sforzo. Ci sono pagine in Mr Gwin, in cui la carenza di leggerezza è supplita da quella capacità affabulatoria che da 14enne mi portava via e che, nonostante tutto, oggi mi seduce ancora, con dolcezza.
Da quel punto di vista privilegiato e adulto che mi permette di dire: posso smettere quando voglio.

giovedì 24 novembre 2011

Overdose

Vado avanti per overdose.
Di malinconia, e futile insofferenza, da un paio di giorni. Per qualcosa che non riesco a decifrare, per un bisogno che non ha lineamenti, ha solo accenni, sfocature, indizi.
Di chilometri. Mi sposto a trottola, su e giù, di mattina, di sera, con la valigia, senza valigia, in macchina, in aereo, in autobus, in tram, in treno, a piedi, con l'ombrello aperto (se piove), con l'ombrello chiuso (non sia mai piove), col computer in borsa, con troppi cavi, con la batteria perennemente in carica, con due mutande pulite e lo spazzolino.
Di persone. Persone belle, appena conosciute, persone insignificanti, persone fastidiose, persone che non conosco e che si accalcano intorno, davanti, dietro, di lato, come formiche, come sardine. Persone che vorrei conoscere meglio, che mi attirano, mi mettono in difficoltà, mi stimolano, mi sfidano.
Di parole. Parole dette, ripetute, declamate, scandite, spiegate. E sentite, appuntate, scherzate, divertite. Parole d'ordinanza, parole scelte per l'occasione. Parole scritte, stampate, rivedute e corrette.
Di silenzi. Di troppi, troppi silenzi. Voglia di non dire, di sottintendere e di essere comunque, peer fortuna o per arte, capita e soddisfatta. Di silenzi delusi e disattesi.

In overdose, perché ogni volta non c'è equilibrio: o tutto o niente, di ognuno degli ingredienti. O esplosione o deserto. O eccesso o carenza. Un mondo in due ore, il mondo opposto le due ore successive.
Come una droga dolorosa, come una medicina obbligatoria. Come un sacrificio per forza.
Voglio la pazienza e non la trovo. Voglio l'astinenza, l'atarassia, la vacanza, il giusto tempo per tutto.
Voglio e non ho. Non è giornata.

martedì 21 giugno 2011

Battere e levare

Finire e cominciare, partire, ripartire, ritornare.

Se batti metti un punto, concludi e vai a capo.
Ho finito le 1024 pagine di Anna Karenina.
Ho finito le lezioni in archivio, dopo due anni.
Ho finito la primavera.

Se levi ti rialzi, riprendi fiato e tendi verso il nuovo .
Venerdì partiamo per il mare.
Fra due settimane torno a casa.
Fra due settimane e un giorno comincio un nuovo lavoro.
Oggi comincia l'estate.

«Lo vedi tu com'è / bisogna fare e disfare / continuamente crudelmente / battere e levare».

Ma in levare si fa lo ska e tutto acquista un senso nuovo, un ritmo giusto, anche se sembra controtempo e squilibrato, anche se è difficile da mantenere. Saltellare saltellare, divertirsi e continuare.

«Stasera guardo questa strada e non lo so / dove mi tocca andare / lo vedi siamo come cani / di fronte al mare»

Cighidà!

lunedì 23 maggio 2011

Mangialonga

Se 10 km di camminata non vi sembrano improponibili, se vi alletta l'idea di scoprire cosa c'è dietro la collina di Torino, se non vi spaventa la confluenza di 1500 persone in un micropaese che conterà un numero di abitanti pari al massimo alla metà, la Mangialonga è l'esperienza che fa per voi!
Ieri, addì 22 maggio, sono stata iniziata a questa bislacca avventura, contornata da un sottogruppo di circa 20 partecipanti, tutti ugualmente entusiasti di partire alle volte di Albugnano per sfiancarsi e spanzarsi, come domenica che si rispetti vuole.
Dunque, lasciata Torino intorno alle 10 di mattina, raggiungiamo la ridente località in meno di un'ora e siamo pronti a cominciare: cammina cammina, emuli di Cappuccetto Rosso e Pollicino, attraversiamo le valli del basso Monferrato, fotografando una vite qui, un ciliegio lì e intervallando i molti (e vieppiù stanchi) passi con tappe rifocillanti e restauranti: 2,5 km e pane e salame, 2,5 km e acciughe al verde, 2,5 km e olive e mortadella, 2,5 km e pranzo finale. Né,si badi, la suddetta passeggiata si è rivelata solo mangereccia! L'intero percorso, infatti, è stato innaffiato da molti e ripetuti bicchieri di vino locale (ottimo e abbondante), particolare che ha reso calura e fatica assai più sopportabili e morale e atteggiamento vieppiù ringalluzziti e capaci di resistere anche, in conclusione, al dj d'eccezione che ha continuato a riproporre per diverse ore le stesse due compilation, badando di lanciare almeno 4 o 5 volte le sue hit preferite: Macarena, Ballo del capitano e Waka waka.
Quindi, a posteriori, esperienza divertente e da rifare. Solo magari, visto che i postumi mi lasciano tatuata sulla pelle una bella sagoma a tshirt come il peggiore dei muratori, la prossima volta mi sa che opto per un top a bretelline...

Valeria ringopipol

martedì 17 maggio 2011

Alla fine della Fiera

Ovverosia, con più esattezza, del Salone del Libro 2011 che mi ha visto anche quest'anno bassa manovalante degli stand Rubbettino, pass 'espositore' appeso al collo e scarpe comode il più possibile per resistere alle 12-13 ore giornaliere di apertura. Bilancio, inutile dirlo, ultrapositivo: millemila baracchini editoriali, più o meno grandi e famosi, l'intero Oval Lingotto addobbato a 150ennario, vip scarrozzanti e scarrozzati lungo i tappeti rossi gialli e blu dei padiglioni e me stessa, divertita e stremata, immersa in un'atmosfera sottratta a spazio e tempo per 5 giorni e circondata dai bislacchi e fenomenali membri della casa editrice.
Nella mai troppo sazia categoria degli "ameni visitatori senza un venerdì" si distinguono per livelli d'eccellenza e tempo trascorso in conversazione con me medesima:
- il "perfezionista della Dacia Romana": richiede speranzoso il libro dedicato alla regione storica suddetta, avutolo lo rimira con ardente desiderio, lo sfoglia, lo abbraccia, si accorge di un angolo della copertina leggermente rovinato dal trasporto, si dispera. Viene al banco, richiede un'altra copia, ma ahimè quella è la sola, entra nel panico, lascia il libro, lo riprende, lo rilascia, lo riprende ancora, me lo lascia in custodia per un pò e si fa un giro altrove. Dopo dieci minuti torna convinto: lo vuole. Lo prende in mano, nuovi dubbi lo assalgono, ma la tentazione è troppo forte: lo compra, ma esige uno sconto e si giustifica dicendo: «sono un perfezionista...»
- la "signora aquilana medievale": con un inutile pretesto, abilmente truccato con complimenti per le tante e belle e interessanti pubblicazioni, l'amabile vecchina ottuagenaria mi richiede informazioni sulla storia del Mezzogiorno. Io rispondo con gentilezza e cortesia e lei mi blocca sul contropiede, improvvisando una filippica sulla sua città d'origine (L'Aquila), sui trascorsi medievali, su Federico II, e i suoi figli, e i figli dei suoi figli, per una mezzora buona, mentre la mia mente lavora per analogia e ripensa a nonno Simpson che incastra la cassiera del supermercato rifilando la storia del suo nichelino di rame solo per avere qualcuno con cui parlare.
- il "genovese porco": sfortuna vuole che alla cassa dimoriamo io e la mia compagna d'avventure Teresa, unici due membri dello staff appartenenti al gentil sesso. Il viscid'uomo attacca bottone senza ritegno, pudore, buon gusto, educazione e, nonostante le sue convinzioni, senza una briciola di sexappeal. Infarcisce il suo eloquio con battute oscene, accompagnate da tocchi di mano sulla spalla, cui seguono immancabili allontanamenti da parte nostra, decantando le meraviglie di Genova, città alla quale sta per fare ritorno, senza dimenticare di invitarci per una visita.
Ce ne sarebbero da descrivere, ma mi fermo qui.
Voglio ricordare invece l'incontro che fra tutti quelli a cui ho preso parte mi ha emozionato e coinvolto e infarcito di bellezza più di tutti: la presentazione del nuovo libro di Eve Ensler (quella dei Monologhi della Vagina), accompagnata da Lunetta Savino e la meravigliosa (quanto sono di parte) Lella Costa. Se c'è qualcuno dall'altra parte del monitor, si fidi e lo legga: si intitola "Io sono emozione" e ne vale la pena.
Insomma, alla fine della fiera, la Fiera è finita anche per quest'anno e io ritorno cauta e speranzosa alla mia routine, con molte ore di sonno da recuperare, la dieta da ricominciare, la casa da risitemare dopo le partenze di madre, cognata, cognato e nipotine, i libri da leggere, le cose da fare, i viaggi da programmare e altro, molto altro, ancora da pensare.

Valeria lector in fabula

mercoledì 16 marzo 2011

Gente da 15/il filosofo trascendentale

Peccato essermi accorta di lui solo appena prima di scendere: era seduto troppo distante da me.
Lui, per essere chiari, non saprei descriverlo fisicamente, l'ho ascoltato soltanto, già aggrappata al corrimano accanto alle porte di uscita, fra via bertola e piazza castello.
Lui parla. Ha un eloquio accademico, uno dei migliori devo dire: proprietà di linguaggio, capacità innata di portare avanti una dissertazione complessa senza perdere il filo del discorso e inanellando concetti sempre più profondi in una sintesi da libro stampato.
E a chi parla?
La signora che gli sede al fianco lo fa visibilmente suo malgrado: gira la testa dall'altra parte, mette su la tipica espressione diplomatico-torinese di indifferenza "tistoodiandoperchémiinfastidiscimanonfaròunapiegaperchésonocorteseancheseperfinta" e cerca invano di estrometterlo dal suo campo visivo-uditivo. Evidentemente, non lo conosce.
Ma questo, a lui, non importa davvero.
«La verità è che la scuola, così come è strutturata oggi, addormenta le coscienze dei giovani: spiegano loro che l'anima non è immortale, che non esiste altro che il mondo dell'immanenza e questa, questa è la vera tragedia signora. E non va meglio all'università: l'universo della spiritualità è annullato, non esiste la trascendenza, la dissertazione sull'anima, sull'io profondo. Che conseguenze avrà tutto questo? Ormai rimane solo un baluardo dell'approfondimento metafisico: i religiosi. Gli uomini di fede, quelli che studiano la teologia, sono l'ultima traccia di una cultura che si è persa, che non ricorda e non teme più le leggi di Dio...»
Il tram, passato l'ultimo semaforo, inchioda in piazza Castello. Lui deve scendere, si alza di scatto troncando l'elucubrazione sul più bello e saluta:
«Arrivederci signora, è stato bello parlare con lei. So che ha registrato tutto, l'ho fatto anche io. Buona giornata.»
Devo scendere anch'io, appena in tempo per sentire la signora che, visibilimente sollevata, bofonchia un «Arrivederci», e occupa il sedile rimasto vuoto con la borsa.

lunedì 14 marzo 2011

E se domani...

...E se domani mi svegliassi nel passato, indietro di 5 o 6 anni.
Roma, l'università, tantissimi esami ancora da fare, casa Manni, gli obiettivi certi da raggiungere, la distanza, gli amici quando voglio.
Se ripiombassi lì, se avessi indietro quella serenità, quell'entusiasmo, quella fiducia.

...E se domani mi svegliassi nel futuro, avanti di 5 o 6 anni.
Un lavoro, una città diversa, una nuova famiglia, la mia vecchia famiglia.
Se potessi vederlo, prevederlo, se percepissi anche solo per poco le sfide sostenute, le battaglie vinte e quelle perse, le nuove gioie, gli ostacoli quotidiani, la bellezza di una felicità di routine.

...E se domani mi svegliassi in un altro presente.
In America a studiare. O In Italia a lavorare. Magari da sola.
Se sapessi parlare altre due lingue, vivere senza fare compromessi, seguire le strade dell'istinto, se mi andasse bene, stavolta.

...E se domani. Ma sottolineo se.
(Mi) sento Mina (Vagante).
Mi sveglio ogni giorno, quasi sempre presente a me stessa. E ho (quasi) tutto quello che desidero: il vizio e il rito della colazione pronta, la gioia del contatto, i nuovi libri da studiare, i progetti da immaginare, le sfide da concretizzare. La capacità di reinventarsi non appena serve.
La forza di guardare indietro senza rimpianti.
La disciplina di protendersi in avanti senza fretta.

...E se domani, e sottolineo se, mettiamo caso, perdessi me.
Avrei perduto il mondo intero, non solo me.

venerdì 11 febbraio 2011

Le cose che amo di Torino/Piazza Castello in bici

Andare in bici è un gesto che ho scoperto stando qui. Le pendenze catanzaresi prima e l'assenza di piste ciclabili romane poi (leggi: i ciclisti a Roma sono aspiranti suicidi) me l'hanno impedito, e così la pedalata era rimasta ricordo sopito di tempi lontani: il giro nel villaggio al mare, le escursioni adolescenti, la domenica alternativa al parco, affittando il mezzo per un'ora sola.
A Torino, invece, la bici è quasi d'obbligo; è un paese per pedalatori, nonostante gli autoctoni continuino a lamentarsi (ma lo fanno per qualunque cosa!) dell'assenza di piste dedicate, e dello smog, e dei pericoli. Sarà, ma a me va bene così. Quindi bicicletto da un anno quasi, quando il tempo lo permette, e soprattutto sostituendo il pur amato tram numero 15 per andare in archivio. 5,2 km da casa a lì e altrettanti al ritorno (che è in salita). E, non lo nego, rotolare sull'asfalto su due ruote mi rende intollerante verso pedoni e automobilisti che spavaldamente fingono di non vederti, quindi mi attacco al campanello imbarbarita per farmi strada dall'inizio del percorso fino alla fine.
No, quasi fino alla fine.
Perché gli ultimi cento metri, dalla fine di via Garibaldi alla porta dell'archivio, mi offrono ogni giorno 15 secondi di cuore allargato. Questo spazio finale, percorso alle 2 e mezza del giorno, con la luce giusta e le poche persone intorno, col silenzio interrotto solo dal rumore del mio stesso veicolo, mi si concede così:



E mi piace, Torino che mi accoglie.

lunedì 24 gennaio 2011

Una vita violenta

Mai letto Pasolini.
Come? E non ti vergogni?
Un pò sì, lo ammetto.
Per questo (ma non solo) ho letto "Una vita violenta". Si badi, non l'ho proprio scelto.. diciamo sinceramente che era l'unico disponibile dell'alto autore nella libreria sondata, di cui verranno taciuti nome e ubicazione. Che si vergognino anche loro insieme a me, almeno.
L'ho letto sul tram, nello spazio di 8 corse via caraglio-piazza castello e viceversa, più una deroga casalinga, fra ieri e oggi. E in effetti, già la descrizione dello spazio-tempo che gli ho dedicato mima fedelmente lo stato del coinvolgimento lettoriale (sensoriale x lettore): sulle prime, una resistenza di non più di trenta pagine per volta, per finire in un climax di voracità ed affezione per personaggi, trama, lingua, sensazioni. Pasolini è così, almeno per me. Dà fastidio, finchè non ci fai l'occhio, e l'orecchio, e non ti affabula, non ci prova nemmeno, procede per la sua strada, che sembra una missione tanto è mimetica, tanto è vissuta in prima persona. Da lui, non da te. Campa di fiducia, per così dire.
Ma.
Ma c'è Roma. E c'è il mio groppo in gola.
Roma è perfetta. Il romanesco è perfetto. Negli accenti, nelle intonazioni, nei gesti. E nelle vie, nei colori, nei dettagli. Nonostante ci sia il dopoguerra, nonostante oggi sia tutto molto diverso, Roma è lì, riconoscibile, intatta, privilegiata. E privilegiata mi sono sentita, perché riuscivo a ritornarci, mentre leggevo. E ho pensato quanto deve essere bello nascere romani, sentirselo addosso, quell'orgoglio.
«E c'era Roma così lontana / e c'era Roma così vicina / e c'era quella luce che ti chiama / come una stella mattutina».
A pa'. Tutto passa, il resto va.