lunedì 26 agosto 2013

La Sicilia, secondo me

La prima volta che sono stata in Sicilia avrò avuto otto o nove anni.
Mi ricordo il traghetto e il palazzetto dello sport di Catania dove, vestita da scoiattolo, partecipavo a una competizione di danza. Niente altro.

La seconda volta che sono stata in Sicilia era il 2001, ed è stata anche la seconda volta che ho rivisto il mio consorte dal vivo. Era Messina e lui saltò la scuola per prendere un treno che, da Palermo, lo portasse all'altro vertice dell'isola per passare due ore insieme.

La terza volta che sono stata in Sicilia è stato un anno dopo la seconda, e stavolta a Palermo ci sono andata io, a casa sua.
La prima di innumerevoli volte successive.

Descrivere la Sicilia non è facile affatto.
Qualcuno mi ha chiesto se davvero esista quella Sicilia che si vede nelle puntate di Montalbano, quella specie di mondo giallo e caldo in cui il tempo pare essersi fermato, o comunque, sembra andare avanti molto pigramente. Rispondo: esiste, anche se non è proprio così letteraria.
Meno sedie di paglia, meno vesiti neri da donna, più plastica, più rumore.

Ma lo stesso, incomprensibile, equilibrio a sè stante.

Non conosco tutta l'isola, ovviamente (anche se per paradosso ho visitato più posti in Sicilia che in Calabria), e certamente la mia opinione e il mio racconto partono da Palermo, anzi meglio da Bagheria (sì, quella di Tornatore, e della Maraini, e di Provenzano) che è la patria natia del consorte.
Quindi mi scusino i siciliani alla lettura se si sentono ingiustamente chiamati in causa.
E mi scusino pure i palermitani e i bagheresi, non si sa mai.

E anzi, partiamo proprio da qui: la Sicilia è permalosa.
Vieni pure, traghetta, guarda, fai il bagno, suda per il caldo, fotografa i templi, la storia, la polvere. Ma non giudicare. Non si tratta di semplice campanilismo. E' qualcosa di più simile alla gelosia. 
Se non ci sei nato non puoi capire.
Questo diventa una specie di mantra.

La Sicilia ama improvvisare. I siciliani sanno sbrigarsela prodigiosamente, nell'emergenza. Qualcosa che da queste sabaude parti è parente dell'impossibile. C'è una capacità innata nel trovare soluzioni a problemi quotidiani, a ostacoli antipatici, un tubo che perde, la precedenza ad un incrocio, un lavoro da inventarsi per campare.

La Sicilia possiede la bellezza dei dettagli. C'è una battuta famosa del film 'i cento passi', in cui Peppino Impastato descrive l'attitudine dei siciliani ad abituarsi a paessaggi orrendi, pur di aggiungere in essi qualcosa che li renda familiari. Una casa di lamiera, ma con le tendine e i gerani. Ecco, io credo che per vedere la bellezza, la tanta bellezza della Sicilia, bisogna imparare ad astrarre i dettagli dal contesto, ignorare i cassonetti straripanti di sacchetti e isolare il fregio antico di una villa, mettere da parte il metallo che pugnala certe case diroccate e concentrarsi su un golfo sul mare, su un fico d'india. Non voglio parlare per stereotipi ma credetemi, è difficile davvero dare un'idea esatta di cosa intendo.
Se non ci sei stato non puoi capire.
Lo vedete, ci casco pure io.

La Sicilia è in perenne equilibrio. Prima parlavo della facilità con cui i siciliani trovano soluzioni ai problemi. E' una grossa qualità, un talento creativo direi. Ma l'altra faccia della medaglia sta nel fatto che queste soluzioni sono sempre precarie, mai durature, mai lungimiranti. Finché riesco a far stare la mia busta di spazzatura nel mucchio senza farla rotolare via, allora non è un mio problema. Mi costa dire che anche dalle mie parti, purtroppo, si ragiona spesso così. Finché posso dipingere il mio palazzo di verde, o lasciarlo cadere a pezzi, nonostante tutto ciò che c'è intorno, allora non è un mio problema. I risultati possibili sono due: le cose non durano a lungo o, se durano, sono fatalmente brutte. Come direbbe mio suocero, l'antica arte dell'arripizzamento (il riparare alla bell'e meglio).

La Sicilia va piano. Con calma. Che fretta c'è. Pensiamoci. Poi vediamo. Aspetta. Siediti.
Ci sono momenti in cui questo approccio al mondo mi manca moltissimo. Ci sono strade in cui il tempo davvero sembra essersi fermato, vecchine affacciate come le racconta Camilleri, e sedie sull'uscio, e uomini vestiti di tutto punto col cappello bianco e il bastone accomodati a guardare il resto passare. Le auto arrivano a lambire gli alluci e loro non si spostano di un millimetro. Il vicolo è loro, sono loro a decidere la tua velocità. Quindi piano. Vai piano.

La Sicilia ha un'ironia fulminante. Certe trovate ti vengono solo se hai la mente allenata alle bizzarrie di una vita senza troppe regole. La lentezza del mondo che passa è compensata da una rapidità esagerata nel trovare il lato comico delle cose, nel dissacrarlo, nel farne slogan che sdrammatizza ed esorcizza. Andate a Ballarò, se vi capita. Cercate di decifrare il dialetto strettissimo dei mercanti che abbannìano per convincervi a comprare la loro roba. Per dire,ci sono perle come questa: 

La Sicilia, come dimenticarlo, è un'isola.
Scavalcate l'apparente banalità dell'affermazione. Io non l'avevo capito fino a quando il consorte una volta mi disse: se voglio, posso prendere qualunque treno, andare in posti che non conosco ed avere comunque la certezza di non uscire da qui; sul continente non è la stessa cosa: rischi di perderti e chissà dove arrivi. Il mare, tutto intorno, che abbraccia, che protegge, che tiene distante il resto.
Nel bene e nel male.
E' una specie di calamita, una madre possessiva che stenta a lasciarti andare, e non lo fa mai del tutto, se sei suo figlio. Se sei nato lì. E, al contrario, non riesce mai a farti entrare davvero nel suo cuore, se vieni da un'altra terra. Io lo vedo, su di me.
Perché la racconto senza essere siciliana.
E lo so, lo sento come un brivido dietro le orecchie, che questo ai siciliani non piacerà. Che non è un mio diritto.

Io, che la Sicilia la amo perché è la mia seconda casa (o la terza? o la quarta?), perché lì ho affetti che non si possono sradicare e perché la vedo riflessa nella pelle e nei gesti della persona che mi sta accanto ogni giorno. 
Perché adoro vederla apparire arrivando a Villa S. Giovanni in treno o in macchina.
E poter dire, con gli occhi familiari di una figlia acquisita, Ecco, sono tornata, ti riconosco.

lunedì 19 agosto 2013

Elogio della Settimana Enigmistica

Riemergo dal silenzio degli ultimi dieci giorni per testimoniare che no, non sono stata risucchiata da un vortice di gelato, né inglobata in un'arancina gigante, semplicemente le mie vacanze sicule si stanno dimostrando vieppiù (che bella parola!) fancazziste e con la clausola irrinunciabile di tenermi il più possibile lontana da monitor, tastiera e mouse.
Però, che diamine, non mi par bello far perdere le mie tracce, sia pure ferragostane e desertiche, quindi eccomi qua, pronta a discettare su ciò che più di tutto in questi giorni sta tenendo in allenamento il mio placido e satollo e pigrissimo neurone: la Settimana Enigmistica.

Non so voi, ma io la prima cosa che faccio, immancabilmente e necessariamente, è la Pista Cifrata a pagina 8.
Unisci i puntini da 1 a 49. E viene fuori un omino che si fa mangiare da uno squalo.
Che vi devo dire, mi dà un senso di pace e armonia con il cosmo, tutto è al suo posto e niente può andare storto. Niente a che vedere con il vicino "Che cosa apparirà", che prevede un dispendio inutile di tempo e inchiostro, nell'accanimento ad annerire tutti gli spazi col puntino. No, non ne vale la pena.

Poi, soprattutto d'estate, quando la rivista che vanta innumerevoli tentativi d'imitazione è contesa da nuclei familiari allargati, l'essenziale è accaparrarsi le pagine migliori, ovvero i cruciverba senza schema. Vi do una dritta, casomai non lo sapeste: l'ultimo dei tre canonici contenuti è quello più difficile. Solitamente è quello di Bartezzaghi. Quello da battere. Quello che malignamente ti fotte con una definizione di due lettere la cui risposta non ti sarà fornita neanche dalla Treccani e che, ovviamente, non ha incroci con altre parole. E a me quella casellina bianca rimasta mi manda in bestia.
L'acerrimo nemico di Bartezzaghi è ovviamente Ghilardi (Di Muro, pure spesso presente, è tipo la Svizzera: noioso e non schierato), che vanta le peggiori definizioni di stampo geografico mai concepite, tipo (cito testualmente): "La Alma città più popolosa del Kazakhstan". Seh.

Ancora due gruppi di giuochi degni di nota.
Il primo, quelli per i solutori più abili: cornici concentriche, incroci obbligati, ricerca di parole crociate, parole crociate senza schema e, solo di tanto in tanto, triplici incroci obbligati (amichevolmente detti 'i triplici'), parole crociate ad anello, bobine. Difficilerrimi, ma quanta soddisfazione danno!
Il secondo, i giochi di parole: il bersaglio è il mio preferito, ma non disdegno neanche rebus, indovinelli, sciarade, lucchetti e via dicendo.

A parte invece è il discorso per tutti quei giochi che non prevedono la scrittura delle parole o delle soluzioni e che, quindi, sono tipici delle situazioni in cui ti manca una penna: in spiaggia se hai incautamente cambiato borsa, o in bagno quando tipicamente l'unica rimasta sulla lavatrice decide di non scrivere. Fanno parte di questo ameno gruppo di intrattenimenti in extremis le trovate di "Se vi foste il giudice", "Suspance!", "Il professor De Nuvolis", oltre naturalmente a tutta la schiera di investigatori e/o ladri incapaci che in sei o otto vignette propongono misteri da risolvere andando a caccia di indizi celati nei disegni.

Ancora, e la smetto, una parola sulle barzellette: ok, non fanno ridere, ok, sono vecchie e desuete, ma io le adoro. Ecco, in condizioni di calma vengono subito dopo la Pista Cifrata. Perché raccontano un mondo immutabile e stereotipato, ma tutto sommato gentile, genuino, innocuo. Il capo che bastona il dipendente, la moglie che aspetta alzata il marito col mattarello in mano, il bandito col passamontagna. E' un universo sicuro, non so come dire, un'oasi in cui il tempo si ferma, a prescindere da tutto quello che succede nel mondo reale. Tu lo sai, che potrai sempre fare una 'risata a denti stretti' e che potrai 'rinfrancar lo spirito fra un enigma e l'altro'. Il resto non conta, il resto non esiste, perché la Settimana Enigmistica è rimasta intatta ed immutabile da ottant'anni a questa parte. Ed è bello così. E' una certezza.

Io gli voglio bene, al Corvo parlante, alla Susi, a Carlo e Alice, a Lillo il cane saggio, ad Aguzzate la vista, allo Strano ma vero e all'Edipeo enciclopedico, alle Spigolature e al Forse non tutti sanno che...

E, manco a dirlo, alle soluzioni, che non guardo mai, ma che lo so che stanno sempre a pagina 46.


venerdì 9 agosto 2013

E se poi te ne penti?

Oggi la mia coscienza ha le fattezze di Padre Maronno.

Come ormai tutto l'universo mondo sa, oggi è l'ultimo giorno di lavoro, prima delle due settimane di stop ferragostano, evviva evviva, cori di giubilo, crisi mistiche, coriandoli, ricchi premi e cotillon.

Quello che l'universo mondo non sa, tuttavia, è ciò che prevede la tabella di marcia della partenza, della permanenza e della ripartenza.


Jingle: E se poi te ne penti??

Padre Maronno, perché? Sto andando in vacanza, finalmente abbandono questa mentula di città polentona con le velleità climatiche del Cairo, posso bearmi del riposo di ben 16 giorni prima di ritornare a tumularmi nel loculo, e allora dài, dammi tregua, dassami stara (come direbbero i miei concittadini calabri)...

Ma no, Padre Maronno lo sa, mannaggia ai pescetti.

E se poi te ne penti??

Perché le prossime ore prevedono questo: passare il pomeriggio a impacchettare il necessario per campare due settimane in Sicilia, avendo cura di far entrare tutto nel più piccolo spazio possibile, visto che siamo in 4 in un auto sola, che di certo non è una station wagon e meno che mai un SUV.

E se poi te ne penti??

Lo so, lo so. Me, il consorte e i due suoceri in un minuscolo spazio vitale (cit.) per più di una mezzoretta continuativa potrebbe rivelarsi uno scenario problematico... ma su, su, possiamo farcela, siamo grandi, grossi e vaccinati...

Dice, a che ora partite? 
Eh.
Noi siamo partituri intelligenti.
TUTTI IN MACCHINA ALLE ZERO TRE E ZERO ZERO DEL DIECI CORRENTE MESE, SCATTAREEEE!
Giusto Cielo...
Padre Maronno mi tira per la mezza manica...

E se poi te ne penti??

Dice, ma quanta strada dovete fare?
Mmhh.. spetta che prendo un attimo Google Maps... dunque, da Torino a Catanzaro, destinazione casa dei miei, fanno più o meno, all'incirca, su per giù... 1262 chilometri.
Ah beh.
Comodi. Che, col bollino nero, nero come il carbon di domani, significa 15-16 ore di viaggio se ci dice culo.
Poi giusto il tempo di darsi una sciacquata all'ascella, dormire in un divano letto, chiacchierare un paio d'ore, e si riparte verso la ridente provincia palermitana.
Che, conti alla mano, fanno altri 371 chilometri.

E se poi te ne penti?? Alias: non era meglio un aereo? Comodo, un'oretta e mezza e passa la paura... No! Caro Padre Maronno dei miei stivali, ché in 4 facevano almeno 700 euro di biglietti. E sai com'è.

Comunque sia, una volta lì sarà tutto diverso, nipotine da viziare, brioche col gelato da divorare, mare, amici, e poi soprattutto il ferragosto da passare tutti insieme, ci saranno anche i miei che ci raggiungono in Siculandia per la prima volta dopo anni, evviva evviva, suoceri e consuoceri finalmente insieme...

E se poi te ne penti??

Padre Maronno, ti supplico, un po' di fiducia, sennò non ne esco viva...
Che vuoi che succeda, insomma?

Eh.
Oh.
...

Comunque il ritorno sarà diverso: abbiamo già prenotato la nave fino a Genova e il consorte mi ha assicurato che d'estate è una figata: piscina sul ponte, cinema, ristorante e quant'altro, e che la tragica esperienza del gennaio 2010 - mare forza nove per 27 ore di viaggio, vomito con la frequenza delle contrazioni di una partoriente - resterà un brutto, bruttissimo ricordo...
...
Che c'è?
Che vuoi ancora?

E se poi te ne penti??

Padre Maronno basta! Se vuoi venire con me vieni, ma stai buono e zitto per carità.
Che sto andando in vacanza.
Lo vedi? Sono serena e rilassata.
E pronta - quasi - a tutto.



lunedì 5 agosto 2013

Wii-chend (ma anche We can't)

Io l'ho detto che detesto l'estate.
L'ho detto che mi rende insofferente e irascibile.
E dopo una notte durante la quale ho dormito per circa tre ore non continuative, inframezzate da rotolamenti a destra e a sinistra, gocce di sudore che dalle tempie scendono lentamente e inesorabilmente lungo il collo e fino alla nuca, alzate repentine per permettere al materasso di ritornare a una temperatura inferiore a quella della graticola e contemporaneamente mettere sotto l'acqua gelata braccia e collo, e ancora non in ultimo da un ventilatore che al massimo della sua potenza è riuscito solo a simulare le macchinette per asciugare le mani che si trovano negli autogrill a fianco ai lavandini, ecco dopo tutto questo, la mia convinzione iniziale si tinge di una sfumatura che - come dire - mi fa assomigliare ad Hannibal Lecter. Anzi no, a Jack Torrance.

Detto questo (dove 'questo' mi rendo conto essere un periodo inutilmente lungo e mal strutturato, di cui darò la colpa al mio neurone assonnato, il solo che non è già andato in ferie e che mi costringe ad errori di battitura molteplici del tipo 'smufatura', che manco Dotto dei 7 nani, e Diomio lo sto facendo di nuovo, vi prego abbattetemi), la mia idea iniziale era di raccontare il weekend appena trascorso, anzi il 'Wii-chend', come recita il titolo, mutuando una trovata paroliera del consorte ispirato.

Gli ho regalato la Wii.
Per i suoi trent'anni.

Il che mi rende la fidanzata migliore dell'orbe terracqueo e anche di pianeti limitrofi e galassie confinanti.
Almeno, così mi hanno assicurato.
Ci sono poi delle velenose voci di corridoio che millantano che l'avrei fatto perché sotto sotto la volevo pure io, ma sono serpi in malafede, non date loro ascolto, soprattutto quando vi mostreranno i miei record a Trauma Center New Blood e i miei punteggi di Lego Harry Potter. Quelli sono con tutta evidenza esperimenti scientifici serissimi che mi hanno permesso - per dire - di affermare con sicurezza che avrei potuto diventare un brillante chirurgo, in una vita parallela, e che la transcodificazione del linguaggio nel passaggio libro-film-videogioco soffre sì di innegabili perdite, ma guadagna di certo svariati punti creatività.

Sì.
Uhm.
A-ah.

Insomma, per farla breve, complici le temperature sahariane che ci impongono di vivere come i vampiri Cullen, esposti all'aria aperta solo quando non splende il sole, abbiamo trascorso la gran parte del sabato e della domenica a videogiuocare col nuovo giocattolino, con buona pace dei fondamentalisti per i quali il videogioco è il male assoluto e che ci vorrebbero tutti (dove 'tutti' sta per 'tutti i bambini') con le ginocchia sbucciate per le partitelle a pallone e/o per le cadute dalla bici. A costoro, il 5 d'agosto, io rispondo: Vacce te. Aka: ne riparliamo quando Torino avrà il mare.

Gesù, sto sbadigliando in loop.
Noncelapossofare.
La città è semideserta in modo imbarazzante, i mezzi pubblici continuano a non avere l'aria condizionata e stamattina non ho manco potuto prendere un caffè al bar: tutti chiusi. Maledetti.
E devo lavorare ancora fino a venerdì, coprendo i turni della collega in ferie.
E il mio compagno di stanza ha deciso di mettere solo musica latinoamericana. Carico da undici.
Le mie manie omicide stanno pogando furiosamente.
Ho delle occhiaie che manco lo zio Fester, ormai le chiamo affettuosamente Anastasia e Genoveffa.
Voglio morire. O almeno dormire (ciao, Hamlet).
Ma niente, non si può.
No. 
We can't.