lunedì 29 settembre 2014

A cose fatte

C'è stato il sole.
Un sole che neanche a luglio, neanche nelle cartoline, figurati poi a fine settembre, a Torino.
Ho aperto gli occhi alle sei e mezza (la sveglia sarebbe stata mezzora più tardi), ho aperto la finestra e ho fotografato l'alba.

Tranquilla.
Con un'aura di beatitudine, di allegrezza sulla faccia, negli occhi.
Gente che bussa alla mia stanza, che mi saluta e sorride, gente che mi abbraccia, mi stringe emozionata.

Mi sono impigliata nel vestito da sposa.
Le braccia alte, l'acconciatura già fatta, il vestito bloccato per una cerniera che avevo lasciato tirata su.
Leggero smadonnamento.
Vabbè, passa.

Mi metto il velo.
Eh beh. Sono vestita da sposa. Sono una sposa. Guarda là.
E se mi viene da ridere?
Meglio.
Sì, meglio.

Quando scendo - non senza difficoltà - dall'auto e ti vedo, ti dico ciao, e la banda balcanica comincia a suonare io so che è tutto perfetto, tutto come me l'ero immaginato, mio padre mi guarda mentre avanziamo a braccetto ballicchiando a ritmo e mi dice è bellissimo.
Lo è, è bellissimo.

Ci teniamo per mano, mentre le parole scorrono, parole che hanno il potere di cambiare lo stato delle cose. Che bizzarra magia, questa.

Mi emoziona, questa cornice, ma tutti, tutti, sorridono, perché una cosa così non l'hanno vista mai.
Così allegra, bislacca, fuori dagli schemi, ironica. Così simile a noi.
Che cacchio se siamo belli, oggi.

Ho ballato - resistendo sul tacco tredici - come se fossi a un concerto in un centro sociale, ho fatto ballare grandi e piccoli, incrociando sguardi arresi: se te lo chiede la sposa non puoi dire di no. Figata.

Ho mangiato. Incredibile. Su qualcosa ho pure fatto il bis. Alla faccia di chi dice che gli sposi non mangiano mai al proprio matrimonio.
Ho bevuto, brindato con tutti i colori del vino, e tutte le gradazioni. Nel mio bicchiere e in quello di altri. Fino alla notte, fino a quando non abbiamo salutato tutti, ancora abbracci, ancora sorrisi.

Ho avvolto lo strascico intorno al corpo come un bozzolo per riuscire ad entrare nella tua auto, siamo tornati a casa nostra, che buffo fare le scale e salire in ascensore conciati così, ma tanto è notte, non ci vede nessuno.

Al letto mia madre e tua madre hanno messo le lenzuola che mia nonna mi ha regalato quando ero ancora una bambina, apposta per questa sera.
Mi sa che l'aveva immaginata tutta diversa, all'epoca. Vabbè.

A cose fatte, le cose nuove.
Come mi chiami e come ti chiamo,
i fiori dappertutto per casa
e quel bagliore di oro giallo che lasciamo muovendo le mani.


sabato 27 settembre 2014

Oggi mi sposo

Oggi mi sposo.
Dice, state insieme da dodici anni, convivete da cinque, che sarà mai?
Cosa ti cambia, nella sostanza?
Niente.
Davvero, niente.

È che questa stanza d'albergo, da sola, a quest'ora.
È avervi intorno, tutti quanti, in questa maniera caotica e polilocale, così rara, no unica, quando mai ricapiterá di nuovo così in una volta.
Sono i biglietti di auguri e quelle certe espressioni velate dalla commozione agli angoli delle ciglia.
È sapere che ci guarderete diversamente, ma anche che vi godrete con noi questa festa.
È che mi somiglia tutto, oggi, fino all'ultimo dettaglio, e io una cosa così anche giammai..

È salutarti e dirti buonanotte.
Domani io e te, maritoemoglie.
Niente.
Eppure qualcosa.
Eppure, dannazione, anche tutto.


martedì 23 settembre 2014

Siamo bravi

Siamo bravi, noi, a rendere morbide le sveglie.
Siamo bravi a lasciare il mondo fuori, a soffiare dentro inverosimili cerchi saponati e tuffarci dentro bolle fragili e luminescenti, che il resto faccia un po' ciò che vuole, noi restiamo qui.
Siamo bravi, quando capita, a creare trincee e fronti comuni: guai a chi prova a scalfirci. Che poi, noi e gli altri non ci incontriamo poi così spesso.
Siamo bravi a stare soli, perché io con te e tu con me non possiamo sentirci soli, mai.
E siamo bravi ad accenderci, a metterci in moto, a constatare quanto sei bravo tu da solo e a ricevere i tuoi occhi orgogliosi di me.
Siamo bravi ad aspettare, a trovare il tempo giusto, io che vorrei tutto e subito tu che invece anche dopo, fra un po', poi vediamo.
E alla fine facciamo cose, creiamo ambienti, inventiamo colori adatti e luci perfette.
Siamo bravi a prendere decisioni che ci investono come TIR impazziti sulla statale, a crogiolarci dentro l'ipotesi di come ciò che abbiamo immaginato si concretizzerà, e come gli altri ci guarderanno, ci considereranno bravi, io e te, insieme.
Siamo bravi, siamo meglio di prima, siamo potenziale ancora inespresso e storie da raccontare, ricordi da creare.
Siamo bravi a riconoscerci nelle illustrazioni colorate, a riconoscerci allo specchio, guardaci, siamo noi, ancora noi, non cambiamo,
aspetta,
fatti un po' più in là, fammi posto, anzi abbracciami, tienimi stretta, così, ancora un po'.


lunedì 15 settembre 2014

Cose da fare improrogabilmente a due settimane dalle nozze

Intraprendere una nuova, viva e vibrante dipendenza da serie televisiva.
[Confessare che la suddetta serie è Grey's Anatomy. Vergognarsi un po'.]

Andare al vivaio a comprare piante aromatiche, con la consapevolezza che per la prima metà di ottobre dovranno fare appello a tutto il loro istinto di sopravvivenza, visto che noi saremo dall'altra parte del mondo.

Insegnare a due amici ad andare in bicicletta, dopo averli convinti ambedue a comprare una bici usata a scatola chiusa.

Aggiungere scadenze lavorative a scadenze lavorative, l'ultima delle quali si stanzia bel bella a meno di 72 ore dal Grande Evento.

Ignorare cautamente - ma anche spavaldamente - che a giorni genitori e suoceri dimoreranno nello stesso sabaudo territorio.

NON incoraggiare la tentazione del refresh su ilmeteo.it

Passare molto tempo a leggere i blog altrui.


Come dite? 12 giorni?
Pfui! che sarà mai!

O_o


mercoledì 10 settembre 2014

Incubi prematrimoniali #3

La metà degli invitati non può venire poiché ha contratto il virus dell'ebola.
Alè.

[Combo: anche mia cognata ha cominciato a fare incubi sul mio matrimonio, per dire, stanotte ci sposavamo nel bagno di mia suocera... O_o]




sabato 6 settembre 2014

Lettera al pomodoro

Mio diletto,
come stai? Da tanto non ci vediamo, né sentiamo e il mio animo è straziato.
Mi manchi.
Lo so, è infantile, sdolcinato e perfino patetico dirlo, ma che posso fare: è così.
Immagino il tuo sapore croccante e acidulo spargersi sul mio palato, ti immagino lottare nell'impari lotta con la mozzarella (ti ricordi quella volta, a Capri?), ti vedo ancora cotto (innamorato!) scivolare giù per gli spaghetti, aggrappandoti solo ad una foglia di basilico.
E' troppo. Non ce la faccio.

Mi guardo intorno e sei dappertutto.
Nel panino al bar, nella conserva di mammà, nel ketchup - dio! nel ketchup!

E' un periodo difficile, sai? Sono debole, fragile.
Questo esilio mi costa tanta, troppa fatica.

Subisco gli attacchi incrociati di chi credevo mi volesse bene, almeno quanto gliene voglio io.
La melanzana, per dire, quella stronza.
L'ho vista pavoneggiarsi tronfia a mo' di caponatina mentre ero in vacanza a Palermo. Sfacciata.
E, alla faccia mia e della mia scarsa melanina, si è portata pure dietro a Torino i segni della grigliata. E la menta. E l'aceto balsamico.
Ma io niente, te lo giuro: impassibile. Una statua di sale.
Non si merita le mie attenzioni, se è tanto insensibile ai miei problemi.

Quell'altro poi, il peperone. Manco a dirlo, non mi degna neanche di un saluto. Come ogni anno si è rintanato a Carmagnola alla sagra in suo onore e niente: non mi ha neanche invitato. Ma forse è meglio così. Sì, forse i miei deboli nervi allora non avrebbero retto e sarei capitolata.

Una cosa invece, te la devo confessare, mio dolce, dolcissimo tesoro.
Alla fine l'ho fatto.
Sì, non mi rimproverare, te ne prego.
Ci hanno provato, il kamut e il farro, a tenermi lontana. La segale si è messa in mezzo di prepotenza.
Il riso, invece, si è messo a ridere. Lui lo sapeva che non ce l'avrei fatta.
Prima ha fatto lo stalker. Si è appostato sotto casa mia, con quella sua mollica invitante e quella crosta saporita; e ancora in spiaggia, travestito da tarallino alle olive. Poi è uscito allo scoperto, mi ha aggredita e non ho resistito al suo fascino. Ha sfoderato la sua arma segreta ed è arrivato così, con la sua veste migliore: morbida, lucida, dolce brioche. Ed ecco, l'ho fatto. L'ho fatto e l'ho rifatto, con la granita, col gelato, e ancora, e ancora, fino a sentirmi male.
No, non giudicarmi.
Ho provato a dimenticarlo uscendo di nascosto con due patatine, ma è stato peggio.
In fondo è colpa mia, è solo colpa mia: sapevo che anche loro mi avrebbero solo fatto stare male.

Tu sei il solo che può capirmi. Il tuo cuore (di bue) è gentile e la nostra relazione non teme le distanze.
So che mi aspetterai, come io sto aspettando te.
Sei maturo al punto giusto.
Io tornerò, tornerò presto.
E allora
sarà Passata.

Sempre tua
V.

[NdB: per un rapido aggiornamento, vedi qui al punto nove]