mercoledì 25 giugno 2014

Alexanderplatz, aufwiedersehen...

Posto numero 5: Franco Battiato (ancora lui) - Alexanderplatz

No, non è per mancanza di fantasia.

Ti vedo stanca hai le borse sotto gli occhi
come ti trovi a Berlino Est?
Alexanderplatz aufwiedersehen
c'era la neve
faccio quattro passi a piedi
fino alla frontiera: 

vengo con te

Berlino ve la racconto senza foto.

Berlino non è Londra, Parigi o Roma, non ha maestose storie antiche o cartoline barocche, non ha fasti secolari, o se ce li ha li tiene sottotraccia, ballerine di fila, devi sporgerti molto e allungare il collo per vederli.

Berlino ha due ombre giganti e scure, come sciarpe sotto al cappotto.

La prima si chiama nazismo.
Lunga, eclatante ombra di catrame, orrore senza filtro, documentato.
Pesantissimo masso ereditato da portare al collo. Una colpa che, fra le mille spine appuntite, causa anche quell'ingiusto pregiudizio nei confronti di una lingua che tanto è bella quando è sussurrata, tanto diviene gracchiante e totalitaria negli slogan degli anni trenta e quaranta, nelle scritte in fraktur, nei messaggi radiofonici del Fuhrer.
I berlinesi non nascondono il nazismo. Non ci provano neanche. Hanno capito saggiamente che l'unico modo per affrancarsi da questo avo scomodo è dichiararsi il più cristallinamente possibili alieni, mostrare tutte le sfaccettature - anche le più triviali - di un fenomeno di massa assurdo, sbagliato, terribile, costoso.
Il nazismo fa schifo, va rinnegato, te lo faccio vedere chiaramente.

La seconda ombra si chiama muro.
E più che un'ombra è una nebbia grigiastra, lattiginosa, che si annida negli angoli, che salta fuori in rivoli che fanno tossire e arrossire.
Il muro - quello che ne resta - è sottile, non alto.
Lo guardi e ti chiedi: come diavolo è possibile.
Come è possibile che questa bobina di cemento che sembra così dannatamente fragile sia stata in grado di fare e rappresentare e condizionare la vita di esseri umani così tanto, per così tanto.
Ma il muro non c'è più, è caduto. Quasi 25 anni fa.
25 anni fa io avevo 4 anni.
Per i tempi della Storia, praticamente è stato ieri.
E forse questo è il problema.
I berlinesi non parlano del muro. Fanno finta che non ci sia, forse che non ci sia stato.
Non so se è stata una mia impressione - probabilmente sì - ma ho percepito come la tentazione di dimenticarlo, di nasconderlo come polvere sotto il tappeto, di dire: distruggiamolo definitivamente e che non se ne parli mai più.
Forse - ho pensato - è ancora troppo presto.
Forse il trauma è troppo recente, non si riesce a mettere bene a fuoco da questa distanza ravvicinata.
Camminavo per la strada e guardando le persone di mezza età mi dicevo: loro c'erano, loro l'hanno vissuto.
E come fanno?
Come fanno a non raccontarlo, a non parlarne?

Berlino è malinconica, nonostante tutto.
Nonostante le efficienze nordicissime, i mezzi puntuali e frequenti, le piste ciclabili, la raccolta differenziata, la civiltà tangibile.
Malinconica e piena di scudi: se piove la gente non usa l'ombrello, l'acqua le scivola addosso, prima o poi si asciugherà.
Non è un problema.
Prima o poi passerà.
Qualunque cosa.

Ci vediamo questa sera fuori dal teatro
Ti piace Schubert? 

 

venerdì 20 giugno 2014

#Soundintrip, prima di andare via

Ho letto il post de La Folle e questa idea mi è piaciuta da morire!
Ho letto che il colpo di genio è stato di dm, blogger viaggiatrice che seguo appassionatamente.
Quando ho cominciato a scrivere questo post, ho intravisto quello analogo di Lila che mi ha anticipato di un gnente, ma non le voglio male per questo, anzi: non sentiamoci mainstream, ma meravigliosamente concordi negli intenti.

L'idea è questa: 5 canzoni per 5 viaggi, musiche che hanno l'effetto della madelaine proustiana, note che quando le senti inevitabilmente ti riproiettano nel passato, a un viaggio verso un altrove, con qualcuno, con qualcosa da ricordare.

Poiché assecondare la vena nostalgica è sempre una tentazione irresistibile e poiché sto per partire per una minivacanza, decido di farlo anch'io, questo #soundintrip, e vediamo che ne esce...

1. Luna di lana - Valeria Rossi
Agrigento, Luglio 2003. Un'auto torrida in viaggio da Palermo con i finestrini abbassati, dentro 4 scapestrati - fra i quali la me stessa neodiplomata - tanti succhi di frutta e merendine al cioccolato irrimediabilmente sciolte. Davanti la prospettiva di un tuffo nel Mediterraneo ghiacciato e di una mega brioche col gelato alla Gelateria Le Cuspidi.

2. Occhi bassi - Tre allegri ragazzi morti
Non è proprio la colonna sonora di un viaggio. O forse sì, visto che associo questa canzone al mio trasferimento a Roma, nel settembre del 2003. A un cd che mi ha accompagnato sul treno e ha scandito i passi dei primi giorni verso le aule universitarie.

3. Franco Battiato - Bandiera bianca
Uno qualunque dei tanti viaggi autostradali Torino-Umbria fatti col consorte per andare a trovare mio fratello. Ma quanto ci piace cantare le canzoni di Battiato imitandone la voce...

4. Talco - La danza dell'autunno rosa
A parte che questa canzone è spettacolare e se non la conoscete vi invito caldamente ad ascoltarla, associo questa musica (e direi anche l'intero album) al viaggio verso Londra di giugno dell'anno scorso, sparata a palla mentre vedevamo avvicinarsi l'aeroporto.

5. ...
Il quinto posto lo lascio vuoto, perché sto per partire.
Stasera sarò a Berlino per un luuungo weekend (w san Giovanni, patrono di Torino) e non so ancora quale musica, quale canzone farà da didascalia acustica a questo nuovo trip.

Facciamo che ve la dico quando ritorno...
;)


mercoledì 18 giugno 2014

martedì 10 giugno 2014

Simone si sposa

Ho conosciuto Simone il primo anno di università. 
Correvo da un'aula all'altra, preda della voglia di conoscere argomenti che mi apparivano bellissimi e persone che potessi, finalmente, scegliere io, non imposte dalla mia città, dalla mia scuola, dal mio nome.
Era - mi sembra - il corso di Glottologia e, come succede, ci siamo trovati. Visti e piaciuti.
Avevamo intorno uno straordinario puzzle di altre persone bislacche e capate una a una nel nugolo degli iscritti a lettere, ma fèrmati, Simone era diverso.
Con Simone è diventata una simbiosi.
E no, non una di quelle che si trasformano in una tresca: io già ero innamoratissima del consorte (che dimorava quegli 800 km più a sud) e lui, beh lui zigzagava qui e lì.
Io e Simone eravamo fratello e sorella, lui che era figlio unico e io che un fratello ce l'avevo, ma troppo più grande di me, e ancora troppo diverso e distante.
Prepariamo il piano di studi.
Studiamo per l'esame.
Facciamo il the.
Vieni a casa mia, apri la finestra per fumare, disturba le mie coinquiline.
Cantiamo a duetto le canzoni di Guccini, andiamo al mare a Ostia dopo l'ultimo esame di luglio.

Ci sei quando tentenno, ci sono quando urti contro gli spigoli del tuo carattere.

Per cinque anni, Simone è stata la persona con cui ho trascorso più tempo in assoluto.
Eravamo bravissimi, senza storie.

E poi succede come succede. Che le strade si biforcano e i percorsi si scelgono, divergenti, differenti.

Altre città, altre cose da fare, sogni da inseguire.

Ho salutato Simone che è ormai cinque anni fa, non l'ho più visto.

E così, come succede, succede anche di vivere sorprese e di aprire la porta a sorrisi inaspettati.
Come quando Simone ha lasciato un commento qui, sul mio blog.
Come quando, una briciola ogni tanto, una parola o due, sapere che c'è, sempre uguale, e sempre uguale io, e sotto sotto, noi.

Sai cosa? C'è che mi sposo, a settembre.
Sai cosa? Mi sposo anch'io, a giugno.

Dai.
Vieni? 
Sì.

T'ho rivisto, Simone, felice, stremato, innamorato, ambientato in un luogo che è diventato casa tua, anche se non è Roma, e certo: nessun posto è Roma. T'ho rivisto e non abbiamo avuto il tempo di riconoscerci, se non al volo, col non detto, con la promessa che poi.

Chi lo sa.

Ma sì. Certo che sì.
In altri modi, con altri tempi, e parole, e scenografie non condivise, magari.
Ma so che sei lì, ancora tu, ancora facile da riconoscere,
amico mio.


domenica 1 giugno 2014

Ridatemi la cattiva

Ieri sono andata al cinema.
Anzi no: ieri sono andata prima a vedere una riduzione di Romeo e Giulietta allestita da tre pazzi scriteriati nel cortile di un condominio di San Salvario (esperienza che meriterebbe un post a sé) e poi sono andata al cinema, a vedere Maleficent.
Ora. 
Se come me siete personcine che hanno avuto un'infanzia sana e costruttiva e quindi conoscete a menadito tutti i classici Disney, ivi compresi tutti i testi di tutte le canzoni, da Impara a fischiettar di Biancaneve a Il mondo è mio di Aladdin, fatevi un favore, salvatevi almeno voi: non andate a vedere Maleficent.
Perché quello che farete sarà cominciare a saltellare sulla poltrona del multisala, circondati da nanetti che sgranocchiano popcorn, con sempre maggiore insofferenza nei confronti di ciò che scorre sul megaschermo e sempre maggiore varietà linguistica di imprecazioni pronte a uscire fuori di bocca (e anche, diciamocelo, sempre maggiore invidia nei confronti della bocca della Jolie).

Mi rivolgo a te, amico sceneggiatore Disney.
Spiegami perché.
Cosa non ti è chiaro.

Numero uno: stai prendendo una storia che è patrimonio collettivo della memoria di tre o quattro generazioni di giovani virgulti cartonianimati-dipendenti per farne un remake. Anzi no, non è un remake, perché se mi pubblicizzi il film dandogli per titolo il nome della protagonista cattiva di quella storia, io mi aspetto di trovare, non so, il prequel? La storia vista dal punto di vista di quel personaggio? Il sequel? Qualcosa del genere, e invece... Ma non anticipiamo, e diciamo solamente che vuoi partire da quella storia, da quel pacchetto di memoria, per raccontarmi qualcosa, conscio del fatto che io SO come sono andate le cose nel cartone originale, ME LO RICORDO BENISSIMO.
Quindi, amico mio, stai giocando col fuoco, lo devi sapere, parti già sul filo del rasoio.

Numero due: Questa storia in particolare vive in un cartone che è fra i più inquietanti mai prodotti dalla Disney (lasciando da parte gli elefanti rosa di Dumbo che non gareggiano, sarebbe come se Usain Bolt partecipasse alla mezzamaratona Venaria-Torino). Io non so se voi che leggete avete presente, ma la Malefica del cartone è una cattiva al 100%, senza sfumature, cattiva perché sì, cioè per dire, ogni volta che c'è lei tutte le scene si tingono si un mefitico verde acido che copre tutti gli altri colori e parte una musichetta che Profondo Rosso lèvate.

Numero tre: Il personaggio di Malefica a me piace da matti. Gli è riuscito proprio bene. Perché non solo è cattiva senza speranza, non solo grazie a lei la storia si impenna, si evolve, si risolve, ma perché riesce ad essere completamente negativa e allo stesso tempo enormemente bella. E' regale, Malefica, è elegante, si muove con genti lenti e solenni, accarezza il suo corvo - che chiama 'mio Diletto', manco fossimo in una poesia trobadorica - come se fosse il più tenero dei gattini, insomma sta spanne e spanne sopra a tutti gli altri personaggi: ad Aurora, che è solo la vittima passiva degli eventi; al principe Filippo, muto bambolone wannabe-Ken, nonostante l'epilogo dovuto e aspettato; alle tre fate buone, sciocche buontempone impacciate, salvabili solo per la diatriba sul colore del vestito della principessa ('che sia rosa'/'che sia blu').

Questo per dire che il contesto e l'aspettativa quando ho comprato il biglietto erano belli panciuti e tesi tesi, pronti a godersi, se non proprio la stessa storia vista dal punto di vista dell'antagonista, almeno l'antefatto: chi è Malefica e perché arriva ad essere tanto cattiva quando cominciano gli eventi raccontati nel classico Disney.
E invece no, amico mio. Hai voluto sgravare.
Hai voluto fare un triplo carpiato e riscrivere la storia invertendo le parti: Malefica è buona, è una fata che ama la natura e che solo temporaneamente si ritrova imbevuta di una sete di vendetta che le fa scagliare il maleficio su Aurora, maleficio che lei stessa dopo un po' tenta invano di togliere, e non vi dico altro sennò spoilero troppo.

Amico mio, sceneggiatore stipendiato della Disney, provo a farti un disegnino?
Ripeti con me: Ma-le-fi-ca. Nomen omen, nelle fiabe più che mai! Non devo certo scomodare mazzi di Umberti Echi per dimostrarti che c'è un errore gigantesco nella tua malsana idea narrativa! Non puoi, amico mio, non puoi, raccontarmi con scioltezza che una tizia che si chiama Malefica è buona! Lo capisci che non puoi?

No, non lo capisci... e infatti mi hai costruito un castellone cinematografico che non ha senso alcuno, anche perché - caro amico laureato al DAMS della Columbia University - lo sa pure un ragazzino di undici anni che se mi prendi un picco di negatività, poniamo un -1, e me lo vuoi far diventare un picco di positività, diciamo un 1, il risultato che hai è ZERO. Calma piatta. Elettrocardiogramma a bip contonuo. Insomma una storia che non ha slanci emotivi, non ha senso, non ha catarsi. Non ha.

Anzi. Ha.
La beffa finale.
La frase che davvero non volevo sentire.
"Questa è la storia vera, non quella che conoscevate voialtri".

Ennò.
Amico stronzo, no. 
La mia memoria, il mio bagaglio culturale dell'infanzia non si tocca, andatevene tutti a quel dannato paese buonista, fatto di lieti fini zuccherosi e identità incerte e edulcorate.
E ridatemi la cattiva.