lunedì 24 gennaio 2011

Una vita violenta

Mai letto Pasolini.
Come? E non ti vergogni?
Un pò sì, lo ammetto.
Per questo (ma non solo) ho letto "Una vita violenta". Si badi, non l'ho proprio scelto.. diciamo sinceramente che era l'unico disponibile dell'alto autore nella libreria sondata, di cui verranno taciuti nome e ubicazione. Che si vergognino anche loro insieme a me, almeno.
L'ho letto sul tram, nello spazio di 8 corse via caraglio-piazza castello e viceversa, più una deroga casalinga, fra ieri e oggi. E in effetti, già la descrizione dello spazio-tempo che gli ho dedicato mima fedelmente lo stato del coinvolgimento lettoriale (sensoriale x lettore): sulle prime, una resistenza di non più di trenta pagine per volta, per finire in un climax di voracità ed affezione per personaggi, trama, lingua, sensazioni. Pasolini è così, almeno per me. Dà fastidio, finchè non ci fai l'occhio, e l'orecchio, e non ti affabula, non ci prova nemmeno, procede per la sua strada, che sembra una missione tanto è mimetica, tanto è vissuta in prima persona. Da lui, non da te. Campa di fiducia, per così dire.
Ma.
Ma c'è Roma. E c'è il mio groppo in gola.
Roma è perfetta. Il romanesco è perfetto. Negli accenti, nelle intonazioni, nei gesti. E nelle vie, nei colori, nei dettagli. Nonostante ci sia il dopoguerra, nonostante oggi sia tutto molto diverso, Roma è lì, riconoscibile, intatta, privilegiata. E privilegiata mi sono sentita, perché riuscivo a ritornarci, mentre leggevo. E ho pensato quanto deve essere bello nascere romani, sentirselo addosso, quell'orgoglio.
«E c'era Roma così lontana / e c'era Roma così vicina / e c'era quella luce che ti chiama / come una stella mattutina».
A pa'. Tutto passa, il resto va.


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