Mi chiedo, nel dormiveglia insofferente dei crampi allo stomaco, alle 4 del mattino: ce la farei, da sola?
Da sola, senza quel calore e quel respiro di fianco a me, senza le due tazze sulla tavola della colazione, senza l'archivio condiviso della musica e delle foto: ce la farei?
Mentre si approssima come il treno del celeberrimo primo film al cinematografo la scadenza in cui dirò sì, ecco sì, da oggi in avanti, ma anche ieri, facciamo i passi insieme, mi chiedo: ma senza scherzi, io, da sola, ce la farei?
Ce la farei ad accettare il silenzio della casa e la catena di altre cose con cui popolare una vita, un lavoro, un'esistenza nel mondo?
E riuscirei a non perdermi, a non inabissarmi nell'horror vacui, a bastare a me stessa, realizzata, singola identità, monade felice e soddisfatta?
Mi chiedo, non cadrei forse nell'apatia dei sentimenti, nella disillusione più bieca, nella nebbia di un'assenza di progetti condivisi?
O forse no? Forse avrei bisogno di tutto questo per dire: ecco, questa sono io, io da sola, valgo per me stessa e tanto basta, splendo, rifulgo, vivo, a prescindere da, nonostante.
Ci penso, rigirandomi e scontrando i miei piedi con i suoi, mi dico, d'istinto:
No.
Non ce la farei, da sola.
E' debole, questa femmina che parla?
E' incerta sulle piante dei suoi piedi?
Traballa?
Forse.
Si appoggia, non ad ogni passo, ma con la consapevolezza che il sostegno c'è.
Come le rotelle della bici che in realtà neanche lo toccano, l'asfalto.
Mi chiedo, mi domando, penso:
ce la farei, da sola?
No.
Ma servo, servo anch'io.
Sostegno uguale e contrario, per quel respiro - che ci respiro a fianco - per quel calore - che rinfresco e lenisco.
E questo equilibrio, questa bilancia degna di Minerva io, signori miei, non la cambierei con nulla al mondo.
Non per un'isola in cui vivo da sola, neppure per una corona da imperatrice dell'autostima e dell'autogestione.
Mi chiedo: ce la farei da sola?
Non ce la farei.
Non voglio farcela.