Peccato essermi accorta di lui solo appena prima di scendere: era seduto troppo distante da me.
Lui, per essere chiari, non saprei descriverlo fisicamente, l'ho ascoltato soltanto, già aggrappata al corrimano accanto alle porte di uscita, fra via bertola e piazza castello.
Lui parla. Ha un eloquio accademico, uno dei migliori devo dire: proprietà di linguaggio, capacità innata di portare avanti una dissertazione complessa senza perdere il filo del discorso e inanellando concetti sempre più profondi in una sintesi da libro stampato.
E a chi parla?
La signora che gli sede al fianco lo fa visibilmente suo malgrado: gira la testa dall'altra parte, mette su la tipica espressione diplomatico-torinese di indifferenza "tistoodiandoperchémiinfastidiscimanonfaròunapiegaperchésonocorteseancheseperfinta" e cerca invano di estrometterlo dal suo campo visivo-uditivo. Evidentemente, non lo conosce.
Ma questo, a lui, non importa davvero.
«La verità è che la scuola, così come è strutturata oggi, addormenta le coscienze dei giovani: spiegano loro che l'anima non è immortale, che non esiste altro che il mondo dell'immanenza e questa, questa è la vera tragedia signora. E non va meglio all'università: l'universo della spiritualità è annullato, non esiste la trascendenza, la dissertazione sull'anima, sull'io profondo. Che conseguenze avrà tutto questo? Ormai rimane solo un baluardo dell'approfondimento metafisico: i religiosi. Gli uomini di fede, quelli che studiano la teologia, sono l'ultima traccia di una cultura che si è persa, che non ricorda e non teme più le leggi di Dio...»
Il tram, passato l'ultimo semaforo, inchioda in piazza Castello. Lui deve scendere, si alza di scatto troncando l'elucubrazione sul più bello e saluta:
«Arrivederci signora, è stato bello parlare con lei. So che ha registrato tutto, l'ho fatto anche io. Buona giornata.»
Devo scendere anch'io, appena in tempo per sentire la signora che, visibilimente sollevata, bofonchia un «Arrivederci», e occupa il sedile rimasto vuoto con la borsa.
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