martedì 31 dicembre 2013

Le ultime cose

[NdB - avevo pensato di scrivere un post di riepilogo sull'anno che sta per finire, condito con una salsa di propositi duemilaquattordiceschi, ma no, è troppo mainstream.
Anche perché, diciamocelo, io il capodanno lo detesto manco troppo cordialmente.
Purtuttavia, mi sembra giusto onorare Babele, che è tornato a nuova vita proprio durante questo 2013, con un ultimo post.
Lo faccio, allora, copincollando un testo che ho scritto esattamente un anno fa, quando fu letto davanti a un pubblico di un centinaio di persone che pensavano di dover ascoltare un concerto per violoncello e pianoforte. Poi c'è stato il concerto, eh, ma intanto si son sorbiti pure questa...
Comunque lo faccio, solo a dimostrazione del fatto che i capodanni alla fine son tutti uguali, almeno nel loro essere 'terra di confine'.
E poi, manco a dirlo, perché sono fottutamente vanitosa]

Lei disse: “Sono la Fine”. Lui disse: “Sono l’Inizio”.
Lei disse: “Ricordo ogni cosa, tutto ciò che è successo. Ho visto le persone passare, le strade consumarsi, i colori cambiare. Ho ascoltato ogni voce e conosciuto tutte le note. Ho le radici più lunghe e resistenti del mondo. Mi riconosco nella stanchezza e nella soddisfazione di un pranzo concluso. Sono piena, piena di cose da raccontare”. Lui disse: “Io non ho memoria. Se guardo indietro, non trovo niente. Io sono l’attesa di ciò che dovrà accadere, la spinta in avanti, il gusto del rischio. Non so parlare, so solo sporgermi e trascinare. Ed è per questo che ti voglio ascoltare”.

Lei disse: “Addio”. Lui disse: “Non ancora”.
Lei disse: “Voglio dimenticare”. Lui rispose: “Invidio i tuoi ricordi. Vorrei avere una storia, un’identità, una sostanza. Vorrei la certezza della strada di casa, e saper indovinare il sapore dei biscotti prima di mangiarli, e riconoscere che giorno è oggi senza bisogno del calendario, solo guardandomi intorno, guardando gli altri. E vorrei avere una canzone preferita”. Lei sorrise e rispose, tendendogli la mano: “Balliamo?”

La Fine e l’Inizio guardarono l’una i confini dell’altro, incastrandosi come pezzi di puzzle. Lei disse: “Il nuovo mi spaventa, ho le vertigini”. Lui disse: “Guida tu, io non conosco i passi”. Lei, coraggiosa, partì. Un piede dopo l’altro, uno spazio prima minimo, poi sempre più ampio; fece apparire l’estate trascorsa, l‘odore enorme del mare, poi il freddo e il buio dei pomeriggi d’autunno, le finestre chiuse degli ultimi mesi dell’anno. Lui, che quasi non esisteva, si incantò estasiato, e prese ad accelerare i movimenti, a volteggiare rapito; le chiese: “Cos’è questa sensazione?”. Lei rispose: “Si chiama nostalgia”.

Lei rise divertita, guardando il suo nuovo compagno musicale. Pensò alle mille parole dette e scritte, a tutti i dettagli raccolti e conservati uno per uno, al suo infinito passato, al suo breve futuro. Pensò che forse non era insostenibile quel peso e che poteva avere un senso, nonostante tutto. Lui, stanco per la danza, sentiva crescere dentro un nuovo, piacevole bagaglio di ricordi. Lei disse: “Non ho più paura del vuoto adesso, voglio festeggiare”. Lui disse: “Allora comincia a correre”.

Erano diventati una cosa sola, adesso. Senza confini e senza limiti. Non ci sarebbero stati disequilibri, o cadute irrimediabili. Tutto quello che era già stato, insieme a tutto quello che sarebbe accaduto. E il senso di completezza, di giustizia, di esattezza. 
“Dobbiamo fare gli Auguri, adesso”, disse Lei. 
“Inizio io”, disse l’Inizio, “Auguri... auguri come? E quanti?”. 
La Fine ci pensò, ed alla fine disse, senza più dubbi: “Senza Fine”.

sabato 28 dicembre 2013

Di ventotto ce n'è uno

E si dà il caso che sia il mio.
Compleanno intendo.
Ne compio ventotto di ventotto.

Mi è sempre piaciuto il giorno in cui sono nata: tre giorni dopo natale, tre giorni prima di capodanno, così non rompo le scatole a nessuno.
Una specie di effervescente brioschi post-triade 24-25-26 e prima delle lenticchie col cotechino.
Una quaterna a tombola.
Il secondo premio del mercante in fiera.
Il panettone senza canditi, o il pandoro ripieno di crema al caffè.
E anche lo spuntino verso le dieci di sera con gli avanzi del cenone del giorno prima, la sveglia tardi senza rimpianti, le carte dei regali raccolte tutte in una busta e portate al cassonetto.

Tutto ciò che non è comandato, ma che è parte della festa.
Nei miei natali, il mio compleanno è sempre stato esattamente questo: un dettaglio fra due mostri festaioli collettivi, che è mio soltanto, ed è irrinunciabile.

Per la prima volta, in ventotto anni, passo il mio compleanno lontano da casa: ho risposto alle telefonate di auguri appollaiata sulla ringhiera del traghetto verso Messina e mi sono goduta (fra un sonnellino e l'altro) il cambio di paesaggio, dalla Calabria alla Sicilia.
E tutto sommato, non mi dispiace: il movimento e il cambiamento saranno la cifra portante di questo mio anno da ventottenne, quindi perché non cominciare subito?

Per cui io brindo alla mia, e a tutti quelli che mi hanno dedicato un sorriso, un abbraccio, una parola, un minuto, e che mi accompagnano ogni giorno con un sorso di più ;)

giovedì 19 dicembre 2013

Cento, cento

Valigia pronta, carta d'imbarco stampata, casa pulita, acqua e gas chiusi.
Io partirei.

Prima o poi, lo giuro, ricomincerò a leggere i miei amati blog amici, confido nello spirito del natale presente.

Per intanto, visto che questo è il mio centesimo post, vi dedico un sempreverde



Lacrimucce in ogni dove... :°))


domenica 15 dicembre 2013

Intanto, al secondo piano...

Metto un attimo in standby il mood natalizio (e se uso altri anglicismi abbattetemi).

So che sentivate la mancanza delle allegre peripezie del mio condominio, quindi vi accontento subito con una delicatissima perla rintracciata al secondo piano.



Prego, apprezzate la cifra artistica dell'installazione e la creatività grammaticale del testo.
E continuate a darmi incoraggianti pacche sulle spalle...

[per le puntate precedenti, qui e anche qui]

lunedì 9 dicembre 2013

Il presepe laico

Erano anni che progettavamo di farlo.
Alla fine, ci siamo decisi ieri, un'ora prima dell'arrivo degli undici ospiti per la cena di natale a pranzo (di cui ancora per molto tempo smaltirò gli avanzi).
Ovviamente, si è rotta la stampante con un tempismo ottimale, vanificando la pur lunga e accurata ricerca delle immagini giuste.
Ovviamente, non mi sono data per vinta.

Avevo già comprato la carta con le stelline.

Quindi, è bastato un A4 diviso in microrettangolini tagliuzzati senza l'ausilio di alcun oggetto munito di lama (nemmeno quelle dalla punta arrotondata di alberazzurresca memoria), un pennarello che è spirato fra le mie dita subito dopo aver portato a termine il suo onorevole compito, scotch di carta, l'aiuto di un ospite arrivato in anticipo consenziente al 75% (cit.) e la pazienza di un monaco benedettino amanuense del dodicesimo secolo.

Adesso, possiamo dire finalmente di avere un bellissimo Presepe Laico (in 2D).

Lo so che sembra blasfemo oltre ogni dire.
Lo so che magari ad alcuni potrà dar fastidio (ma sotto sotto spero di no).
E' che per me il natale è tutto tranne che una festa religiosa, ma nello stesso tempo è il periodo durante il quale più che in qualsiasi altro mi ricongiungo con ciò a cui tengo davvero e trovo il tempo per ripulire le radici, familiari, intellettuali, emotive, mnemoniche, ironiche.
Per farle presenti a me stessa, che male non fa, e per condividerle, se ci riesco, con le persone a cui tengo davvero.

Per questo, lo scrivo anche qui, e mi direte.

Abbiamo deciso di far posto a tutti i personaggi, reali o immaginari, che in un modo o nell'altro ci hanno dato una direzione, verso qualcosa di importante e di duraturo.
Costoro, preziosissimi, sono:

Edmond Dantès
Darth Fener
Italo Calvino
Foto malfatta
Josè Saramago
Kronk
Franco Battiato
Lewis Carroll
Saga e Kanon di Gemini
Lella Costa
Luigi Pirandello
Roger Rabbit
Giacomo Leopardi
Sheldon Cooper
Don Chisciotte
Jessica Fletcher
Isaac Newton
Cyrano de Bergerac
Luna Lovegood
Margherita Gautier
Alessandro Bergonzoni
Douglas Adams
The Madness

E voi chi ci mettereste?

venerdì 6 dicembre 2013

mercoledì 4 dicembre 2013

martedì 26 novembre 2013

Strategie vincenti

Domani vado a Roma.
C'è una cosa abbastanza istituzionale e abbastanza importante, lavorativamente parlando, che magari poi vi racconto al ritorno, giusto per tediarvi un po'.
Ma concentriamoci sul focus, perdiana: domani vado a Roma!

Si vede il sorriso a trentadue denti?

No perché non ce n'è: Roma è una droga di quelle che ti fa andare in crisi di astinenza, se non provvedi con una dose almeno una volta l'anno. E io, fatti due conti, manco da Roma esattamente da novembre dell'anno scorso.

In quell'occasione fui baciata da un cardinale.
Ma sorvoliamo, per carità.

Insomma, ve l'ho detto che domani vado a Roma? Sì?
E quindi niente, sto preparando la valigia per i prossimi cinque giorni, perché, già che sono in zona, sabato e domenica faccio un'altra puntatina in Umbria dalla nipotina ultima arrivata (che anche lì, quanto a crisi di astinenza, non si scherza).
La settimana scorsa, complice la venuta in Sabaudia della mater, ho fatto acquisti.
Non sia mai che ti presenti al mondo professionale come una sciancata!
Fortunatamente ho evitato l'ipotesi tailleur-seduta-di-laurea e in compenso ho un sacco di nuovi vestitini.
Promod ti amo con tutta me stessa. La nuova collezione c'ha pure le gonne svasate. Luccichiii invadono prepotentemente i miei occhi.
Per cui in valigia ci metto soprattutto gonne e vestiti svolazzanti ma casual, adatti all'occasione seria ma anche al weekend familiare.

Unico neo: son tutti di cotone.
Dice, ma è fine novembre, fuori fa meno tre e c'è il sole solo se ti dice culo.
Ci ho pensato, malfidati che non siete altro.
Sotto al vestitino primaverile, se e quanto sarà d'uopo, c'ho la canottiera lanaeseta.

Tiè.
Che fine stratega.
Napoleone lèvate.



domenica 24 novembre 2013

Buona idea, Cattiva idea #5



Buona idea: in previsione delle abbuffate natalizie, provare a mettersi a dieta un mesetto prima.

Cattiva idea: in previsione delle abbuffate natalizie, provare a mettersi a dieta e un mesetto prima dedicare la domenica alla sperimentazione delle arancine con la nutella.


mercoledì 20 novembre 2013

Rinnovi

- Ho chiamato la padrona di casa
- Per...?
- Per il rinnovo del contratto, sono passati quattro anni.

Ah.
Caspita. 
Me lo ricordo bene, il giorno in cui siamo andati a mettere la firma in agenzia, c'erano i padroni di casa veri ultranovantenni che a stento tenevano la penna in mano e scrivevano con la calligrafia di un bambino delle elementari, e la figlia (la padrona effettiva) che continuava a chiamarti 'ingegnere' pernsando di darti un tono.

L'agente ci ha dato il mazzo di chiavi con un portachiavi orrendo, a forma di casa, con l'indirizzo scritto a inchiostro blu di sopra e ci ha detto: 'auguri'.

Noi siamo andati a festeggiare nella pizzeria sotto casa - casa nostra - io ero a dieta e ho preso l'ananas, tu i profiteroles.

Se ci penso, mi sembra di aver fatto una follia.
Due mesi prima tutto era così diverso nei miei progetti, così chiaro e concreto. 
E se niente è andato come volevo che andasse, forse è stata una benedizione.
No, è stato un miracolo.

Che davvero, alla fine, le cose che non ti aspetti, che non programmi, si rivelano le più stupefacenti. Nonostante siano faticosissime.

Quattro anni fa a quest'ora tornavo a Roma a impacchettare le ultime cose e a salutare la casa che avevo occupato per 6 anni, anni che ancora mi porto addosso, con tutto il loro carico di esperienze e cambiamenti e persone e luoghi.
Abbiamo caricato un furgone scassatissimo che ci avrebbe obbligato a un viaggio epico e tragicomico da Roma a Torino, passando per Assisi, sotto venti fortissimi e acquazzoni che non hanno risparmiato i libri e il materasso, là dietro nel cassone.
Ricordo che poco prima di partire la mia coinquilina (che poi davvero coinquilina è riduttivo) si è improvvisata vigile urbano per farci fare un pezzo di vicolo contromano nell'ora di punta e dopo, a salutare lei e l'altra, ce l'ho fatta per un pelo a non crollare.

Abbiamo montato mobili e continuiamo a montarne ancora, in questo posto che abitiamo e che ci somiglia ogni giorno di più, con i miei libri che sono sempre troppi e il tuo cioccolato e la tua raccolta di scontrini che occupano gli angoli più bui.

Ieri, per dire, abbiamo comprato dodici bicchieri. 
Perché quelli che avevamo non bastano per la cena di Natale.

E queste stanze sono davvero più belle quando si riempiono di gente, perché ci siamo noi ad aprire la porta, noi che siamo un'entità riconoscibile e questo contesto che ci accoglie comodo ed intatto, e le persone che di mese in mese, di anno in anno, ci piace avere intorno per tutto quello che rappresentano: tutto quello che abbiamo costruito e tutto quello che da loro prendiamo, a mani basse.
E se mai è possibile trovare un puntolino di significato, allora è proprio questo. 
Ed è l'unica cosa che voglio chiamare: casa.




martedì 12 novembre 2013

Metti due nipoti per casa

Che poi uno dice: non aggiorni mai il blog, che fine hai fattto?, non è che sparisci un'altra volta?
No, non lo farò.

E' che, come ho piuttosto laconicamente anticipato, il periodo è di quelli fitti fitti di cose e per davvero il tempo del cazzeggio informatico è ridotto a meno enne.

Se poi ci metti che pure il weekend viene trascinato da altre più importanti priorità, allora...

Perché metti due nipoti per casa.
Metti ste due che una sull'altra non arrivano alla tua infinitesimale altezza, metti che sono due femmine nel pieno del loro manifestarsi in duecentocinquanta sfumature di rosa - vadasé, anche rosa glitterato - e canzoncine e balletti.
Metti che si sono fatte con mamma e papà una transvolata dall'equatoriale Palermo all'autunnalissima Torino solo per andare a casa degli zii per un paio di giorni.

Embé, capisci che no, non c'ho avuto il tempo di sedermi a scrivere qua, sabato e domenica.

Che poi, in realtà, cominci ben prima dell'arrivo ad azzerare la tua pur minima autorità nei confronti di chi l'età la può mostrare ancora facendosi bastare le dita delle mani. E ti vedi, giuliva, fra le corsie del supermercato, mentre afferri compulsivamente nesquik, bauli morbidi amici, paneciok, minibrik di succo di pera e interi pollai di ovetti kinder (con le sorprese dei puffi due).
Ci sarà un motivo se il nucleo portante della parola 'viziare' è proprio ZIA.

Poi arrivano, e te ne fotti se rischi lo sfratto perché saltano e strillano nel tuo appartamento condominiale con le pareti di cartone, e te ne fotti del caos, dei colori in giro, dei fazzoletti smoccolati, perché ce le hai lì solo per te e ti fai colonizzare, ti godi le loro scarpe rosse che ci stanno tutte e quattro in una mattonella e i loro accademici discorsi sui Mylittlepony (che dio li strafulmini, sti equini, però!).

E la grande, che compie otto anni pochi giorni prima della zia (che ne conta 20 in più) che è già così grande e sa un sacco di cose. Lei che ti ricorda Hermione per quella sua saccenza fragilissima e insieme anche te stessa alla sua età, sotterrata alternativamente da libri e barbie, da scuole di danza e silenzi lunghissimi. E tu te la ricordi, quando è nata, e dici 'ma quanto tempo è passato?' e anche 'ma come ha fatto a passare così velocemente, che ieri ti tenevo in braccio infagottata in una copertina e adesso guardati, guardami'.

E la piccola, che è così dirompentemente ribelle e divertente, così allergica alle imposizioni e alla noia, così indipendente. Lei che ti guarda, mentre a stento nascondi uno sghignazzo per qualche sua buffa frase, e ti dice 'ti faccio ridere, eh zia?' C'ha tre anni e mezzo, sta disgraziata, come si fa? Io gliel'ho detto, ai genitori, che prima dei dodici gli porta il fidanzato con i piercing e poi vediamo se il tempo mi darà ragione... 

Hanno fatto il pieno di foglie e di ghiande da riportare ai maestri, ché loro in Sicilia l'autunno lo vedono quasi solo sui sussidiari, e quelle sfumature di rosso e quel rumore fragrante delle foglie cadute sotto le scarpe non li conoscono, e nemmeno quanto può essere grande un fiume e che odore ha, e se somiglia a quello del mare, ma senza il sale.

Sono ripartite ieri e ci hanno lasciato Peppapig ritratta sul frigo con i pixel colorati calamitati e un disegno con due conigli con le orecchie fucsia e blu elettrico.

Le vediamo troppo poco, ecco la verità. E ci accorgiamo tutto di un botto quanto crescono, nell'intanto che accumuliamo chilometri e miglia aeree, e ci commuove il fatto che non si dimenticano di noi, anche se passano mesi, da una volta all'altra.

Ho mostrato loro le foto di Anna sul cellulare: 'questa è la nuova nipotina degli zii', una bimba come voi, che riazzera il conto dell'infanzia e ci sottopone di nuovo daccapo a questo amore immenso e a questo strazio delle distanze. Ma sarà comunque bellissimo e privilegiato, come lo è con voi.
Perché a chi mi ha detto 'questa è la figlia di tuo fratello, adesso sei zia per davvero, è un'altra cosa', rispondo che no, non è un'altra cosa, non c'è differenza.
Non c'è davvero nessunissima differenza.

lunedì 4 novembre 2013

It's so good to let myself surrender



I see a white and open sky
And you know that I feel fine

Se ci fosse qualcuno a chiedermelo, direi che dicembre è il mio mese preferito, per via di quel grosso sbrilluccicoso bailamme noto ai più col nome di Natale, perché c'è il mio compleaano, perché inizia l'inverno e, possibilmente, anche la neve si degna di comparire davanti alla mia imbambolata soglia.

Sta di fatto, però, che stavolta rivaluto il penultimo.

Dead leaves are falling on my way
In a warm and cosy grave

Io te lo dico, provaci: ad andare in bicicletta calpestando il tappeto di foglie gialle e marroni e rossicce, impastate di acqua e terra marrone. Provaci. Si scivola, fai attenzione. Ma guarda, non senti alcun rumore che non sia il vento, o il campanello (se freni, frena piano, che andare giù liscio è un attimo).

And it's gonna be that time
that I like
 
Ho fatto una torta di carote.
Nell'ordine ho pensato:
alle Camille della scuola elementare
a Tappo di Winnie the Pooh
a nonna Papera.
Poi anche, refrigerando invano il medio destro ustionato sulla resistenza del forno nell'atto di estrarre la suddetta, forte della riuscita prova stecchino:
a Sonia Peronaci certe cose non capitano mai.

I love the cold wind of the night
When it comes and give me signs

Ho messo la trapunta pesante e ho costretto il consorte all'uso coatto del pigiama. 
Son vittorie mica da ridere.
E quanto ai segni, secondo me ne raccoglierò un barile, sto mese, me lo sento. 
Complici, mi sa, quei click di prenotazione su trenitalia.it che chissà, chissà.
 
Ho voglia di credere alle promesse che mi faccio.
Ho voglia di mantenerle prima che venga il momento in cui si deve brindare e buonanno, buonannoancheate, cheprogettifai? chepropositihai?
Mi spaventa, quest'anno nuovo che si avvicina ratto ratto, e allora magari se gioco d'anticipo riesco a fotterlo almeno un po'.

And I can sware I hear it says
You will never cry invain

Invano? No, forse non ci siamo capiti: io ho intenzione di ridere, ma di ridere alla grandissima, ché non ho il tempo, né la voglia, né lo spazio per piangere e/o piangermi addosso.
Piuttosto, per ora, ho solo il desiderio di lasciarmi andare, di arrendermi al fluire delle cose, di crogiolarmi come un gatto davanti al camino.
Possibilmente sotto un plaid.
Possibilmente con chi amo.
Possibilmente, goduriosamente, novembrina.

November
November
November
it's so good to let myself surrender
 
 
 

lunedì 28 ottobre 2013

Anna

Anna, sei nata 9 giorni fa.
Non ho scritto nulla su di te, perché volevo prima prenderti in braccio.
Sei nata di sabato pomeriggio, mezza Italia più in giù di me, mezza Italia più in su di dove io e tuo padre siamo nati e cresciuti.
Tuo padre. Cioè, mio fratello.
Già questo basterebbe a capire con quanta enorme forza tu e i tuoi tre chili scarsi siate riusciti a sconvolgere ogni equilibrio conosciuto.



 Dio, se sei bella.
Così piccola e perfetta.
Profumi di bambina piccola.
E sei emozione allo stato puro.

Fai le smorfie, sorridi, ti corrucci con le stesse rughe fra gli occhi di tua madre, sei buffa e leggerissima.
Come ti incastri con naturalezza nelle braccia dei grandi, atterriti di gioia ed impauriti dal tuo essere così fragile e così nuova.
Ridisegni ogni relazione.

E mi regali uno sguardo più pulito, più luminoso sul mondo.

Benvenuta.


martedì 22 ottobre 2013

Another Lonely Day

Che poi è solamente il titolo di una canzone di Ben Harper.
Non ho intenzioni derelitte, cominciando con questo titolo che di derelitta ha tutta l'apparenza.
Non oggi, davvero.

E' capitata nelle casse del pc di casa perché ce l'ha portata il random, lo stesso che prima mi ha proposto i Green Day e dopo My sharona. Quindi non c'è dolo.

Però mi ha portato a staccare gli occhi e la concentrazione dalla finestra aperta sulle tabelle di classificazione della Dewey e a riflettere sul contesto che abito, da un po'.

Another lonely day.
Un altro giorno da sola.

Lavoro da casa, tutti i giorni, tutto il giorno. Da sola, ovviamente.
No, frenate gli sguardi commiserevoli, non ce n'è bisogno.
Lo so.
Che non è un bene non poter parlare con qualcuno, fare una pausa per un caffè, per una chiacchiera.
Che non è un bene preferire le pantofole alle scarpe.
Che non è un bene intercalare lavoro e lavatrici nello spazio di pochi metri.

Mi viene in mente un film fantasy in cui Jodie Foster è una scrittrice agorafobica che non esce mai di casa e a un certo punto viene catapultata su un'isola deserta all'avventura.
Ecco, magari.
Magari anche meno, per carità.

Ma sapete che c'è? Che nonostante tutto sto abbastanza in equilibrio. Mi aggrappo al filo del funambolo con tutta me stessa e scopro che riesco a non cadere, anzi di più: riesco a non oscillare nemmeno. Addominali d'acciaio e baricentro incrollabile.

Ho una routine un po' sgangherata che però alla fine funziona e che mi fa arrivare indenne alla fine di ogni giorno con la stanchezza dei giusti e nessuna nostalgia per quello che avrei potuto o voluto fare altrove.

Sì, ci sono dei trucchi.
Sapere che mi sono data l'obiettivo di arrivare fino a natale in questo stato, col nuovo anno, se non cambia nulla, lo farò cambiare io, in qualche modo.
Sapere che comunque, arrivati alle otto sera, esco di casa per andare in palestra, o in piscina, o al corso di giardinaggio, o di tedesco. L'avevo detto, fuori cinque sere su sette.
Sapere che ho una vita che nonostante tutto si palesa spesso divertente, comica, in compagnia.

Un ingranaggio ben oliato che fa andare anvanti l'orologio senza troppi errori di misura, o secondi saltati e accumulati.

Sono una persona che ama avere ben chiaro cosa c'è davanti a sé, altrimenti non si gode il paesaggio, atterrita com'è nel tentativo di decifrare la carta stradale per non sbagliare. Forse è masochismo, non so.
Ma ho accettato che, per ora, questo è ciò che ho e devo farmelo bastare.
Anzi no: devo riuscire a desiderarlo, ogni mattina, e a non sgretolarmi al primo senso di vertigine, là sul filo.
Zen, molto zen.
Un passo, un respiro per volta.


martedì 15 ottobre 2013

Beep-Beep

Quando il corriere citofona, non immaginerebbe mai che mi sta aprendo le porte della consapevolezza.




Ora lo so.
Divido il mio tetto con Wile Coyote.


domenica 13 ottobre 2013

Domenica è sempre domenica (ma con un premio vale doppio)



E' un'assenza ingiustificata, la mia, se guardo agli ultimi giorni.
Ancor più se pensiamo che l'ultimo intervento lascia negli occhi di chi legge l'immagine di Gianni Morandi. Gulp!
Sono successe molte cose durante quest'ultima settimana, cose di cui non avevo parlato prima per scaramanzia e di cui non ho parlato subito per mancanza di tempo. Il succo, miei curiosissimi lettori, è che ho di nuovo un lavoro, anche se... ci sono molti anche se, ma ho scelto di ingorarli fino a data da destinarsi. L'altro succo (che magari il primo conteneva tracce di kiwi e voi siete allergici) è che da domani sarò fuori ogni 5 sere su sette per fare cose che poi vi racconto, indi per cui i prossimi weekend verranno trascorsi all'insegna del motto 'uscire sabato sera?? troppo main stream! restiamo a casa in pigiama a guardare le puntate arretrate di Dexter!".
Ecco.
Fatta questa doverosa premessa che vedo vi ha accattivato come un libro di Baricco degli anni novanta, passerei al reale oggetto di questo post, ovvero - udite, udite -  c'ho UN PREMIO!
Sì, lo so, voi bloggers consumati ne avete la cantina (e forse non solo) piena, ma io sono piccola e nera e mi rallegro come da bambina davanti a una barbie nuova quando mi regalano qualcosa, quindi mo' vi beccate l'autocelebrazione domenicale (che fa un po' Angelus del Papa) della sottoscritta, che stringe fra le dita il suo nuovo fiammante


Prego, applausi.

Devo ringraziare l'ottima Princi che mi ha inserito fra i suoi premiati, rendendomi orgogliosa e sempre più contenta di far parte della blogosfera e nel farlo ho già adempiuto ai primi doveri di premiata, altrimenti detti

1° REGOLA: Nominare e ringraziare chi ti ha passato il premio
Princi, grazie, Princi, grazie, Princi, grazie! Oh, grazie! E voi, che state a guardare questa mia commossa serenata, andate a vedere il suo blog, se già non lo conoscete! Uno dei posti che ho sentito subito affine a me, un blog gentile ed emozionante... Su, su!!

2° REGOLA: Rispondere alle 11 domande di chi ti ha passato il premio e inventarne altre 11 da rivolgere ai blog che premierai.
Pronta!

1. Qual è il tuo piatto preferito (può essere anche un alimento singolo)? 
Domanda difficilerrima... direi tutto ciò che ha una densità pari a quella di un buco nero, tipo la pasta al forno, le lasagne, la parmigiana, il gateau di patate...  
2. Qual è il piatto (o l’alimento singolo) che ti tenta di più quando sei a dieta? 
La pizza e i formaggi. 
3. Qual è il piatto o l’alimento singolo che mangeresti tutti i giorni e non ti stancherebbe mai? 
Ehm... la pizza e i formaggi! 
4. A quali orari fai i tuoi pasti? 
colaziono verso le 7 e mezza (sabato e domenica aspetto che si svegli il consorte, quindi capita anche verso le 11...), pranzo a seconda di quando finisco la mattina lavorativa - all'una? le due? talvolta le tre - ceno verso le 9. Di solito non faccio merende varie, al limite mi drogo di the, tisane o frutta 
5. Quale piatto o alimento singolo non riesci proprio a mangiare perché non ti piace? 
L'uovo sodo. Bleah! 
6. Quale piatto o alimento singolo ti tenta di più durante il ciclo mestruale? 
Ogni genere di junk food: dalle patatine alle tartine artigianali con maionese e soppressata calabra... 
7. Preferisci i carboidrati a pranzo o a cena? 
A pranzo senza dubbio, ma ultimamente è capitato spesso di mangiarli a cena. E il mio stomaco se ne è accorto subito. Maledetto. 
8. Conti le calorie di ciò che mangi o mangi liberamente? 
No, mai fatto, neanche sotto dieta. Entrerei in un loop che mi farebbe dire a me stessa 'ma sei scema??' 
9. Se hai risposto che conti le calorie, quante ne assumi mediamente al giorno?
Non ho risposto, ma credo che siano comunque un po' di più di quelle che mi servono. Sì, dovrei rimettermi a dieta :(
10. Quanta acqua riesci a bere durante il giorno? 
Un litro, quando faccio attività fisica anche due 
11. Se fosse l’ultimo minuto della tua vita, quale piatto o alimento singolo sceglieresti di consumare? 
Ricopritemi di Brie e Gorgonzola e facciamola finita!

REGOLA N. 3: assegnare le domande e il premio a 11 blog con un numero basso di followers e informarli del premio.
Ok, difficile, ma ci proviamo (qualcuno ha un po' più di lettori, ma va bè):
Se la domenica, leopardianamente vi affligge, rispondete a queste undici umillime e babeliche questioni... vi sentirete meglio!
1. Perché hai il nome (o lo pseudonimo) che hai?
2. Se fossi un personaggio di fantasia chi saresti?
3. Conosci una o enne lingue straniere?
4. Cosa volevi fare da grande quando avevi 8 anni?
5. Se hai un'ora libera ti dedichi a...
6. L'ultimo libro che hai letto e il tuo libro preferito
7. Una cosa che proprio non capisci
8. Che cosa ti fa ridere senza ritegno?
9. Il ricordo più bello che hai
10. Cono o coppetta?
11. Vuoi più bene a mamma o a papà?

Mado' sono arrivata al fondo!
Buona domenica a tutti! ;)

martedì 8 ottobre 2013

Scende la pioggia

Sera. Diluvio. Un condominio torinese a caso.
Come di consueto, la parete di cartongesso che divide i due appartamenti al quarto piano lascia filtrare agevolmente le parole dei rispettivi abitanti, da una parte all'altra.

"...sceeeende la pioggia ma che faaaa..."
Musica, di sottofondo, al di là della parete sottilissima, si mescola al rumore delle gocce di pioggia picchiettanti sugli infissi.
"...crolla il mondo addosso a meeee..."
Copre i rumori delle stoviglie, della televisione, del rubinetto aperto.
"...per amore stoooo morendoooo..."

Una voce si staglia a volume più alto, il ragazzo avrà meno di trent'anni ma, come al solito, le sue parole si impongono arroganti su tutto il resto.

"Vaffanculo Gianni!".

Sottintende: Morandi.

sabato 5 ottobre 2013

Buona idea, Cattiva idea #4



Buona idea: Organizzare una maratona cinematografica di Harry Potter con un paio di amici

Cattiva idea: Organizzare una maratona cinematografica di Harry Potter e di conseguenza sognare di essere Hermione Granger, che deve fare pipì, ma non può andare nel bagno delle ragazze in quanto, avendo bevuto la Pozione Polisucco, ha le fattezze di Harry Potter.


martedì 1 ottobre 2013

Odore

Che poi, alla fine, l'odore di casa è sempre lo stesso, ogni volta che ci torno.
Lo percepisco appena varco il portellone dell'aereo atterrato a Lamezia Terme, e si fa strada fino a quando non si posteggia davanti al cancello.
Odore di quando, da ragazzina, tornavo a casa da scuola e aprivo la casa, accendevo le luci dell'ingresso, mi sedevo sulla poltrona in cucina di traverso e aspettavo che i miei tornassero da lavoro.
Odore della mia stanza che ha cambiato letto e colore quando sono andata all'università, odore delle mie tantissime candele che accendevo solo una volta l'anno tutte insieme, il giorno del mio compleanno, col rischio di dare fuoco alla casa.
Odore del mio armadio che è lo stesso di quando ero bambina e ora se ci appendo i vestiti, toccano terra o non ci vanno del tutto.
Odore di fresco e umido nel salone, dei due divani messi ad elle, del plaid infeltrito e delle mie videocassette preferite.
Odore delle lenzuola che è sempre odore di sole.

E rumore.
Cigolio del cancello d'entrata e del mobiletto del bagno.
Mio padre che sbatte la porta del salone.
La signora che abita sopra che pulisce la ringhiera alle 7 di mattina.
Le macchine che passano a razzo in curva, sotto casa.
Le campane di Gagliano.
Il vento.

Il vento che c'è.

Fa buio presto, qui, non come a Torino.
Quando cambierà l'ora il pomeriggio praticamente non esisterà più. E allora mi verrà - mi verrebbe - voglia che sia già natale, anche se senza neve, senza ghiaccio.

Domani riparto, la pausa è finita.
E questo vento l'ho inspirato a più non posso, fino in fondo.

Non voglio più stare in apnea.

martedì 24 settembre 2013

Il suono del silenzio


Essere empatica mi riesce difficile.
Ascoltare gli altri con un coinvolgimento emotivo autentico, com-patire, immedesimarsi. E' raro.
Più spesso, analizzo, raccolgo dati, propongo soluzioni, spesso plausibili e azzeccate, mi compiaccio di questo.
Mi succede anche con me stessa. Non mi ascolto con l'istinto, quando vivo emozioni forti mi gira la testa, mi sembra di essere al di fuori di me, incapace di vivere nell'attimo, di assaporarlo, di non pensarci su come se fosse un problema di geometria solida.

Dio, che menata filosofica.

Ho provato a mutare la forma delle cose.
Lasciarmi trasportare dal silenzio che riempie gli angoli di casa, mentre sono da sola.
Viverlo, farmi trapassare e imbibire come una spugna.
Sconfiggere i confini delle mie dita fino a riuscire a guardare il contesto nella sua infinitesimale bellezza.

Ho scoperto i dettagli, quelli che possono salvarmi.
Dalla noia, dall'inettitudine.

Scaldare la tazza, tuffare una bustina, bere.
Il calore che scende piano, nel palato, nella gola, nello stomaco.
Pausa. Un altro sorso. Daccapo.

Guardare fuori, il tramonto.
Non ignorare il brutto, l'intruso rumoroso, ma renderlo parte di un paesaggio che diventa, in un certo modo, evocativo e bellissimo.


Guardare dentro, stendermi sul letto.
Contare le righe delle lenzuola, le rughe del copriletto. 
Immaginare il tepore che c'è dentro.
Lasciarmi andare nella forma presa dal materasso, con me sopra.


Tirare le gambe al petto, abbracciare le ginocchia, dondolare sulla sedia.

Chiudere gli occhi, ascoltare.
Il silenzio, il suo suono innaturale, devastante, enorme, catartico.
Sprofondare e perdersi, per un secondo, un minuto, un'ora.

Riemergere.
Alzarsi.
Ritornare.
Ripartire.

 

giovedì 19 settembre 2013

Traguardi e sconvolgenti verità

Complice il fatto di essere andata al cinema dopo un'estenuante ora di palestra per vedere un orrendo film con Matt Damon (Elysium: non fatelo), sono riuscita a passare abbastanza indenne la notte, o almeno, diciamo che ho dormito dall'una alle sette interrotta solo un paio di volte da una zanzara molesta vicino all'orecchio. 

Vi assicuro che, visto il periodo e viste le mie occhiaie, sono grossi traguardi.

Per festeggiare cotanta interessantissima notizia, ho deciso di condividere una sconvolgente verità alla quale io e il consorte siamo arrivati dopo un weekend di droga televisiva, ovvero

Simone Rugiati è Dexter e (forse) non lo sa.





Eh, lo so, son cose che segnano...

 

martedì 17 settembre 2013

Insonnie

Apro gli occhi. 3:46.
Primo pensiero: fossero state le 3:07 avrei pensato di trovarmi quel film dell'orrore che ho visto la settimana scorsa. Bel film, davvero.
Madò che mal di schiena. La palestra, certo, colpa della palestra.
Vabbè ora mi riaddormento, dai. Mi riaddormento.
Macchè.
Provo a muovermi. Mi accorgo che la mia mano è intrecciata alla tua, sopra la mia testa.
Piano piano, la stacco e mi metto supina. Tu di riflesso ti muovi, ti giri sul fianco destro e mi dai le spalle.
Cerco di portare avanti un esercizio di rilassamento dei muscoli, che mi accorgo essere tesi e contratti, partendo dai piedi e via via più su, le gambe, la schiena, le spalle, le braccia. Mi fermo ai piedi, poi i pensieri si affastellano e mi impediscono di cedere al sonno.
C'è vento, domani pioverà.
A settembre non dovrebbe fare questo freddo, non di già.
Domani mattina cosa posso fare.
Aspettare la mail, mettere la felpa, aspettare la telefonata, guardare un telefilm, o due, magari tre.
Chissà se il Mulo ha finito di scaricare quegli episodi.

4:03.
Sta succedendo di nuovo. Non dormo.
Un'amica mi ha consigliato, in questi casi, di alzarmi e andare a fare pipì, così poi sono più rilassata e posso riaddormentarmi. Ok, proviamo.
Mi alzo. Accendo la luce del bagno cercando di aprire gli occhi il meno possibile. Che schifo, un insetto sul bordo della vasca. Checcazzo. Ti sveglio? No, dai, posso farcela da sola.
Vado in cucina, accendo la luce (chissà, magari con tutte queste luci accese ti svegli...), apro il mobiletto sotto al lavello, prendo lo sgrassatore, ritorno in bagno e stermino l'intruso con tre o quattro spruzzi. Faccio pipì, ma ormai non credo più nell'efficacia del metodo: troppi imprevisti.
Scarico pipì e cadavere dell'insetto, spengo la luce, torno a letto a tentoni.

Mi stendo, tu sei supino ora, e russi. Ti spingo un po' (magari ti svegli) per girarti sul fianco. Mi giro anche io e ti abbraccio. Sei caldo, come sempre.
Questa non è la mia posizione, sto scomoda.
Faccio ripartire il giro: supina, poi sul fianco sinistro, poi a pancia sotto, col un braccio sotto il cuscino. La posizione che preferisco. Ma la schiena così torna a farmi male.
Di nuovo supina, di nuovo provo con l'esercizio di rilassamento.
Niente.
Gli occhi formicolano, la testa pulsa.
Il corpo mi chiede di dormire, la testa non ne vuole sapere.
Mi manda in circolo scariche di visioni che accendono la mia attenzione, mi ritrovo ad autodettarmi lettere per più destinatari, lettere che magari scriverò fra qualche mese, magari me le ricorderò.
Chissà cosa succederà.
Chissà come succederà.
Scenari apocalittici portano via disastrosamente tutte le persone a cui voglio bene.
Le spalle sono più contratte di prima.
Mi dico Non aprire gli occhi, Non guardare che ora è.

4:30.
Sono fottuta.
Serve a nulla la tisana, la stanchezza post-esercizio fisico, il sonno delle 11 e mezza.
Fortuna che domani non devo andare a lavorare.
Fortuna? Fortuna una beata m...
Quando non dormo divento scurrile.
Penso troppo.
Penso e sbadiglio e mi stiracchio. E no, non va bene, così tendo a svegliarmi ancora di più.
Dai, ti prego, ti prego, cedi.

Non so quanto va avanti. Certo almeno un'altra mezzora buona.
Fuori il vento continua a fare un casino dell'ottanta, sento gli oggetti sul balcone che rotolano da una parte all'altra, poi, a un certo punto, più nulla.

Vieni a svegliarmi, alle sette e quaranta. Hai preparato la colazione e sei dolce, premuroso, mi rendi lieve l'inizio della giornata, perché sai, tu lo sai.
Te ne sono grata, infinitamente.


giovedì 12 settembre 2013

Buona idea, Cattiva idea #3


Buona idea: Tenere aperto il balcone e far entrare in casa la piacevole brezzolina di settembre.

Cattiva idea: Tenere aperto il balcone e fare entrare in casa un fottutissimo piccione che, colto alla sprovvista da un urlo di terrore, svolazza per il salotto, sbatte al soffitto, si impiglia nella tenda e, solo alla fine, vola via.


lunedì 9 settembre 2013

Anonima bloggatori

Un paio di giorni fa mi è successa una cosa. 
Ho scoperto - per caso - il blog di una persona che conosco da molto tempo, un blog che esiste da molto tempo e di cui non sapevo nulla (anche se sospettavo qualcosa).
E', come molti, un blog semi-anonimo, nel senso che chi lo scrive decide di mantenere celata la propria identità a vari livelli, e comunque preferisce che le persone che la conoscono non leggano.

Questa scoperta mi ha fatto riflettere sulle dinamiche non scritte della blogosfera e soprattutto sui pensieri che stanno dietro le scelte dei bloggers: dichiararsi senza veli o inventarsi un alter ego irrintracciabile che viva solo ed esclusivamente all'interno di un mondo virtuale.

Partiamo da me.
Io ho scelto di scrivere firmandomi col mio nome di battesimo, ma non ho mai pubblicato una mia foto, tuttavia condivido sempre i miei post sul mio profilo facebook, in modo che chi mi conosce, se è incuriosito, venga a leggere ciò che blatero qui.
E' un controsenso?
In parte sì.
Nel senso che sicuramente sapere di avere un pubblico che non mi conosce mi libera di moltissimi filtri sociali e di pudori automatici, ma nello stesso tempo la consapevolezza di avere anche lettori che possono ricondurre ciò che scrivo ad un mio vissuto reale, al mio nome e al mio cognome, mi stuzzica, mi sprona a liberarmi da vincoli che spessissimo tengo ad allacciare nelle interazioni faccia a faccia normali.
E' anche - come ho già dichiarato altre volte - un peccato di vanità, senza dubbio.

Conosco moltissimi bloggers (direi il 90% del totale) che mantengono nettamente distinti e lontani i propri dati sensibili dai contenuti dei loro post e dai loro commenti e, per carità, ne intuisco tutti i perché: libertà di dire senza paura di offendere o ledere la suscettibilità di qualcuno, voglia di essere altro da ciò che si deve essere nella quotidianità del mondo reale, opportunità di confessarsi con un grado di intimità che - buffo! - non si ha quasi con nessuno nelle relazioni interpersonali normali.

Ci sono anche persone che, al contrario, dichiarano sin da subito la propria identità, scrivendola in cima, sotto il titolo del blog, o tutt'al più nella nota del profilo. Questo, credo, sia dettato da una sostanziale assenza di contenuti realmente intimi nei post, oppure alla legittimissima volontà di dare un corpo anagrafico alle opinioni che si sceglie di condividere.

Non so, potendo tornare indietro, cosa farei.
Probabilmente sceglierei anche io di celarmi dietro un nickname che salvaguardi il mio diritto a dire qualunque - qualunque - cosa su chiunque - chiunque. Ma forse perderei un brivido, quello che accompagna ogni volta lo schiacciare il tasto "condividi", in fondo al post, e che tante volte si è trasformato in carezze virtuali da persone che non pensavo avrebbero potuto e voluto dedicarmi del tempo. Il che, ovviamente, è tutt'altra cosa dalla sensazione impagabile di incontrarsi e scontrarsi con persone che leggono e commentano le tue parole senza avere la minima idea di come tu sia fatta al di fuori di ciò che racconti in prima persona.
Quindi, a conti fatti, meglio così.
Ma mi piacerebbe sapere come la vivete voi, la vostra condizione di bloggers mascherati o dichiarati, se la cambiereste, o perché non ci pensate proprio.

E, a margine, vorrei dire una cosa alla persona proprietaria del blog che ho involontariamente "sgamato" (che so quasi per certo che leggerà queste mie parole): non so se ti ha fatto piacere che sia capitata dalle tue parti (in tutta sincerità, non credo!), ma mi dispiacerebbe enormemente se il mio palesarmi come commentatrice nel tuo blog scatenasse in te un'autocensura per il futuro... non che mi creda tanto importante, ma volevo metterlo in chiaro, non si sa mai... ;)


sabato 7 settembre 2013

Cose belle

Un amico che si palesa in casa tua di venerdì sera, mentre il consorte è a giocare a calcetto, per farti un meraviglioso mojito e riempirti di nuovi videogiochi.




giovedì 5 settembre 2013

Galleggiando

Negli ultimi giorni ho letto più di un post, nelle case dei blogger che frequento, dedicato a Settembre, a quanto questo mese sia a tutti gli effetti un 'capodanno' psicologico e concreto, e al fatto che per questo merita di essere celebrato e accolto con entusiasmo e aspettative.

I miei ultimi settembri sono stati effettivamente conformi a questo stereotipo: solo l'anno scorso, di questi tempi, stavo per concludere gli esami della specializzazione e firmavo ben due contratti di lavoro. Oserei dire, ben oltre le mie più rosee aspettative...

Quest'anno... mah.
Galleggio.

Da giorni ormai, vivo in una specie di bolla adimensionale, acronica, silenziosa.

C'è che la mia precarietà mi salta addosso con violenza sempre uguale, non appena ne ha l'occasione, e mi colpisce, mi ferisce, mi fa vacillare.
C'è che quando questi attacchi arrivano, mi accorgo con lucidità di quanto labile sia la mia rete di sostegno, qui fra le Alpi.

Non so perché sia così.
Vivo qui da quattro anni ormai, eppure le persone da chiamare quando la malinconia è troppa e i punti fermi barcollano sono pochissime, a volte non è nessuno.

Mi rendo conto che forse è fisiologico, che i legami di amicizia più forti si riescono ad instaurare solo prima, a scuola, o all'università. Mi rendo conto, più che altro, che per me è stato così. E che quindi, per forza di cose, adesso sono tutti legami lontani.
Roma, Catanzaro, o punti dispersi dell'Italia, del Mondo, per chi, come me, ha dovuto e voluto spostarsi ancora, spostarsi più in là.
E sì, mi mancano, soprattutto in momenti come questo.

Momenti galleggianti.
Momenti che passo da sola. Cercando a più non posso di far scorrere l'orologio in fretta, occupando mente e mani in altro, in roba futile, visto che adesso sono obbligata a non lavorare, ad aspettare (si spera poco) che cose si sblocchino, o ripartano.

Ho voglia di stare o contatto con la gente, di vestirmi, truccarmi e uscire, vedere, parlare, conoscere. Per poi tornare e godermi casa mia, che deve smetterla di essere anche - ultimamente soprattutto - un ufficio.

Ho sbirciato timidamente siti di associazioni culturali, scuole di danza, volontariato, coworking, e boh. Non so. Ma accetto consigli.
Salvagenti.
Zattere.
Pedalò.
Boe.

Per continuare a galleggiare.

Poi magari, se capita, entro la fine del mese due bracciate riesco pure a darle.

domenica 1 settembre 2013

Cielo di settembre

Storie di disfatte.
Sono cresciuta con una cultura musicale bizzarra, un allegro random saltellante da Guccini e De Gregori ai Blink 182, passando per un genere che tuttora interviene nei momenti malinconici per regalarmi sferzate di allegria e di saltellante ritmo in levare: lo ska.

La cifra che più mi piace dello ska è la spensieratezza, che prende forma in melodie ultraritmate che ti invitano a ballare, a molleggiarti a destra e sinistra, e in testi la maggior parte delle volte dissacratori, bislacchi, nonsense.

E che vuoi di più.

Succede però che taluni gruppi decidano, con gli anni, di modificare questo approccio stilistico, e di cedere alle lusinghe neomelodiche della musica pop più becera, solicuoriamori, vocalizzi nasali, luoghi comuni più che triti direi maciullati. 

Disfatte, dicevo.

I Matrioska, nello specifico.
Buon dio, come vi siete ridotti.

Ditemi voi come si fa a passare da questo:

Guarda questo guarda quello posta o postino 
Little Tony brevettare l'eritelio m'incammino 
mangiatore biforcuto di un aristide cornuto chi lo sa..
Trafficante di pinguini in Tunisia 
pornodivo in un asilo da 10 anni in carestia 
calcolare la tangente della fame della gente chi lo sa... (Trafficante di pinguini - 1999)

A questo:

Cielo
si apre una ferita
credevo già guarita
ormai rimarginata
cielo da guardare che mi farai male
cielo non lo sa mi condizionerà per un eternità
cielo siamo qua soli io e te vendimi la stella più bella che c'è 
e portala da lei puoi farlo solo tu lo sai non posso darle di più. (Cielo di settembre - 2007)

Aiuto.
Aiuto aiuto.

Son cose che segnano e che indignano, signori miei.

Cielo di settembre. Ma si può. Ogni anno arriva la mezzanotte  fra 31 agosto e 1 settembre e questo strazio ritorna peggio che mai.

Che poi a me settembre piace, perdiana, non mi par giusto denigrarlo con una robaccia smielata che ne decanta le proprietà di fine-estate come se tutto potesse essere ridotto a spiagge deserte, ricordi da Rimini Rimini sbiaditi e abbronzature che vengono lavate via.
Ennò, porcapupazza.

Si tratta, si tratterebbe, di amplificare sensazioni differenti, malinconie inespresse magari, e venticelli piacevolmente freschi, e notti insonni non per causa del caldo, e progetti da cominciare e ricominciare, e cose che prendono forme nuove, e aspettative, e paure, e...
Ma di che, di chi stiamo parlando?
Vabbè, facciamo che ve la racconto un'altra volta, questa storia...

lunedì 26 agosto 2013

La Sicilia, secondo me

La prima volta che sono stata in Sicilia avrò avuto otto o nove anni.
Mi ricordo il traghetto e il palazzetto dello sport di Catania dove, vestita da scoiattolo, partecipavo a una competizione di danza. Niente altro.

La seconda volta che sono stata in Sicilia era il 2001, ed è stata anche la seconda volta che ho rivisto il mio consorte dal vivo. Era Messina e lui saltò la scuola per prendere un treno che, da Palermo, lo portasse all'altro vertice dell'isola per passare due ore insieme.

La terza volta che sono stata in Sicilia è stato un anno dopo la seconda, e stavolta a Palermo ci sono andata io, a casa sua.
La prima di innumerevoli volte successive.

Descrivere la Sicilia non è facile affatto.
Qualcuno mi ha chiesto se davvero esista quella Sicilia che si vede nelle puntate di Montalbano, quella specie di mondo giallo e caldo in cui il tempo pare essersi fermato, o comunque, sembra andare avanti molto pigramente. Rispondo: esiste, anche se non è proprio così letteraria.
Meno sedie di paglia, meno vesiti neri da donna, più plastica, più rumore.

Ma lo stesso, incomprensibile, equilibrio a sè stante.

Non conosco tutta l'isola, ovviamente (anche se per paradosso ho visitato più posti in Sicilia che in Calabria), e certamente la mia opinione e il mio racconto partono da Palermo, anzi meglio da Bagheria (sì, quella di Tornatore, e della Maraini, e di Provenzano) che è la patria natia del consorte.
Quindi mi scusino i siciliani alla lettura se si sentono ingiustamente chiamati in causa.
E mi scusino pure i palermitani e i bagheresi, non si sa mai.

E anzi, partiamo proprio da qui: la Sicilia è permalosa.
Vieni pure, traghetta, guarda, fai il bagno, suda per il caldo, fotografa i templi, la storia, la polvere. Ma non giudicare. Non si tratta di semplice campanilismo. E' qualcosa di più simile alla gelosia. 
Se non ci sei nato non puoi capire.
Questo diventa una specie di mantra.

La Sicilia ama improvvisare. I siciliani sanno sbrigarsela prodigiosamente, nell'emergenza. Qualcosa che da queste sabaude parti è parente dell'impossibile. C'è una capacità innata nel trovare soluzioni a problemi quotidiani, a ostacoli antipatici, un tubo che perde, la precedenza ad un incrocio, un lavoro da inventarsi per campare.

La Sicilia possiede la bellezza dei dettagli. C'è una battuta famosa del film 'i cento passi', in cui Peppino Impastato descrive l'attitudine dei siciliani ad abituarsi a paessaggi orrendi, pur di aggiungere in essi qualcosa che li renda familiari. Una casa di lamiera, ma con le tendine e i gerani. Ecco, io credo che per vedere la bellezza, la tanta bellezza della Sicilia, bisogna imparare ad astrarre i dettagli dal contesto, ignorare i cassonetti straripanti di sacchetti e isolare il fregio antico di una villa, mettere da parte il metallo che pugnala certe case diroccate e concentrarsi su un golfo sul mare, su un fico d'india. Non voglio parlare per stereotipi ma credetemi, è difficile davvero dare un'idea esatta di cosa intendo.
Se non ci sei stato non puoi capire.
Lo vedete, ci casco pure io.

La Sicilia è in perenne equilibrio. Prima parlavo della facilità con cui i siciliani trovano soluzioni ai problemi. E' una grossa qualità, un talento creativo direi. Ma l'altra faccia della medaglia sta nel fatto che queste soluzioni sono sempre precarie, mai durature, mai lungimiranti. Finché riesco a far stare la mia busta di spazzatura nel mucchio senza farla rotolare via, allora non è un mio problema. Mi costa dire che anche dalle mie parti, purtroppo, si ragiona spesso così. Finché posso dipingere il mio palazzo di verde, o lasciarlo cadere a pezzi, nonostante tutto ciò che c'è intorno, allora non è un mio problema. I risultati possibili sono due: le cose non durano a lungo o, se durano, sono fatalmente brutte. Come direbbe mio suocero, l'antica arte dell'arripizzamento (il riparare alla bell'e meglio).

La Sicilia va piano. Con calma. Che fretta c'è. Pensiamoci. Poi vediamo. Aspetta. Siediti.
Ci sono momenti in cui questo approccio al mondo mi manca moltissimo. Ci sono strade in cui il tempo davvero sembra essersi fermato, vecchine affacciate come le racconta Camilleri, e sedie sull'uscio, e uomini vestiti di tutto punto col cappello bianco e il bastone accomodati a guardare il resto passare. Le auto arrivano a lambire gli alluci e loro non si spostano di un millimetro. Il vicolo è loro, sono loro a decidere la tua velocità. Quindi piano. Vai piano.

La Sicilia ha un'ironia fulminante. Certe trovate ti vengono solo se hai la mente allenata alle bizzarrie di una vita senza troppe regole. La lentezza del mondo che passa è compensata da una rapidità esagerata nel trovare il lato comico delle cose, nel dissacrarlo, nel farne slogan che sdrammatizza ed esorcizza. Andate a Ballarò, se vi capita. Cercate di decifrare il dialetto strettissimo dei mercanti che abbannìano per convincervi a comprare la loro roba. Per dire,ci sono perle come questa: 

La Sicilia, come dimenticarlo, è un'isola.
Scavalcate l'apparente banalità dell'affermazione. Io non l'avevo capito fino a quando il consorte una volta mi disse: se voglio, posso prendere qualunque treno, andare in posti che non conosco ed avere comunque la certezza di non uscire da qui; sul continente non è la stessa cosa: rischi di perderti e chissà dove arrivi. Il mare, tutto intorno, che abbraccia, che protegge, che tiene distante il resto.
Nel bene e nel male.
E' una specie di calamita, una madre possessiva che stenta a lasciarti andare, e non lo fa mai del tutto, se sei suo figlio. Se sei nato lì. E, al contrario, non riesce mai a farti entrare davvero nel suo cuore, se vieni da un'altra terra. Io lo vedo, su di me.
Perché la racconto senza essere siciliana.
E lo so, lo sento come un brivido dietro le orecchie, che questo ai siciliani non piacerà. Che non è un mio diritto.

Io, che la Sicilia la amo perché è la mia seconda casa (o la terza? o la quarta?), perché lì ho affetti che non si possono sradicare e perché la vedo riflessa nella pelle e nei gesti della persona che mi sta accanto ogni giorno. 
Perché adoro vederla apparire arrivando a Villa S. Giovanni in treno o in macchina.
E poter dire, con gli occhi familiari di una figlia acquisita, Ecco, sono tornata, ti riconosco.