Sono tornata a casa da meno di dodici ore, dopo un finesettimana umbro che ha permesso la reunion familiare con mio fratello e i miei genitori.
Ho realizzato che sono passati dieci anni da quando ho lasciato la calabra casa dei miei per trasformarmi in una studentessa fuorisede. Prima di me, già mio fratello l'aveva fatto e io me lo ricordo, mi ricordo del suo trasloco verso Perugia, mentre io cominciavo l'avventura (che mi sembrava gigantesca) delle scuole medie. E mi ricordo che già allora pensavo: verrà il mio turno, me ne andrò. Lo pensavo con un filo di speranza e di aspettativa, un orizzonte che si è trasformato in insofferenza negli anni adolescenti, in un non vedere l'ora che accada.
Sono passati dieci anni da quando ho deciso la destinazione - Roma - e ho concretizzato il viaggio. Da allora, è stato tutto un prenota i biglietti, fai le valigie, programma le vacanze con mesi di anticipo, telefona, telefona spesso, almeno una volta al giorno, raccontami cosa succede a casa, e tu come stai? che hai fatto oggi? niente.
Non è facile raccontare la quotidianità ignorando le centinaia di chilometri che ci separano.
E se fino a qualche anno fa non mi sembrava poi un problema insormontabile, che le cose da fare, da scoprire erano talmente tante, e talmente nuove, e più belle, più allettanti, adesso no, mi rendo conto che non è più così.
Mi rendo conto che ci sono giorni, ci sono domeniche in cui vorrei avere la spensieratezza, la Facilità, di dire a mia madre: vieni a pranzo da me? Di chiamare mio fratello e dirgli: passo un attimo. Di non dover rispondere un "niente" strascicato, quando ci vediamo tutti insieme e mi chiedono "che novità ci sono?". Non è reale, quel "niente". Non è così. Ma la routine, la vita di giorni non per forza speciali non la racconti facilmente in due frasi. E, soprattutto, non è così che la vorrei condividere.
Ho voglia, ogni tanto, di una famiglia a chilometro zero.
Che poi lo so benissimo che mi starebbe stretta dopo poco, che magari l'ingerenza della vicinanza mi farebbe venire pruriti uguali e contrari a questa nostalgia, nostalgia canaglia.
Ma, per favore, un compromesso non si potrebbe avere? Una dimensione in cui non devo misurare il tempo dopo pranzo con lo spauracchio di dover ripartire subito, che sennò a Torino quando ci arrivi? C'è il traffico del rientro.
Ecco. Ci sono volte come questa in cui invidio fortissimamente le persone che hanno deciso, che sono riuscite a restare negli stessi 5 km quadrati che li hanno visti nascere e crescere e che stanno bene così, che se la godono.
Ma vogliamo complicarci la vita? Complichiamocela: l'altro pezzo di famiglia, quella del consorte, sta ancora più lontano, oltre lo stretto. E li senti, che stanno tutti insieme, che si vedono crescere e cambiare poco a poco e lo vedo, nei suoi occhi, che è come stare a guardare una festa da dietro i vetri, essere invitato ma non riuscire a raggiungerli.
E poi ci siamo noi due, che dopo sette anni di distanze abbiamo creato con fatica un nido comune qui, sotto le Alpi, da soli. Ed è comodo e caldo, è accogliente, è sicuro, è bello.
E' sufficiente.
Quasi sempre.
Io ho una famiglia a km zero. Nata e vissuta nella provincia romana, troppo vicina alla grande città per fare le valigie, troppo lontana per gestire un casa in provincia-lavoro in città senza qualche sana smadonnata. Spesso la mia famiglia mi sta stretta, di rado non saprei come fare senza. Il punto è che la vita è sempre troppo complicata, porcavacca! :)
RispondiEliminaElloso, complicata e faticosa, uff... :)
EliminaNon sai quanto ti capisco. Le tue parole potrebbero essere le mie, una per una. Il 'km0' è il probema che da più di un anno sta bloccando la mia vita. Ho invidiato e invidio chi è sempre stato felice e contento di dove è nato e ci è rimasto. Purtroppo per me non è così, mi sono illusa che, tornando, mi sarei ri-abituata, ma dopo 10 anni via, paradossalmente questa non è più 'casa mia'.
RispondiEliminaEsattamente! Me ne accorgo ogni volta che torno, soprattutto se per più di qualche giorno. E' in quei momenti che mi viene voglia di poter dire ai miei "beh allora ciao, torno a casa mia, ci vediamo domani!"
Eliminacoraggio.
RispondiEliminaquando penso a chi è stato capace di voltarsi a cercare se stesso lasciando la casa dove sarebbe sempre stata chi, gli occhi di chi la conosceva, aveva reso.
quindi ti sento coraggiosa, al di là di un chilometro senza distanza
All'inizio non è coraggio, è voglia di nuovo e di indipendenza. E anche, nel mio meridionale caso, di necessità. Il coraggio viene dopo, quando costruisci e mantieni in piedi un equilibrio di qualunque tipo e quando, nonostante tutti i mattoncini messi uno sull'altro, l'equilibrio si incrina per colpa di una ripartenza, o di un mancato ritorno per le vacanze. E mi fa bene dirlo, e sentirmelo dire. Quindi grazie :)
EliminaIo non so ancora che ne sarà di me dopo gli studi... Un anno e mezzo, massimo due ancora, e poi si vedrà.. Prima cosa un lavoro, magari si verrà una gentil donzella, ma non ho fretta di costruirmi un posto mio mio fisso. Giriamo un po' prima!
RispondiEliminaIl concetto di casa è sempre una gioia e una sofferenza immagino. Restare sempre nello stesso posto ha le sue comodità così come le sue grandi magagne, cambiarlo è ugualmente difficile e bello. Non saprei che dirti, non l'ho ancora vissuta quest'esperienza, troppo cciofane! Ma di certo ci farai l'abitudine, l'uomo infine si abitua sempre a tutto, pure alle cose peggiori. E questa, una nuova vita, tutta tua, non è una brutta cosa in fin dei conti ;)
Condivido e apprezzo molto il tuo atteggiamento, di più: se tornassi indietro, rifarei lo stesso percorso, comprese le valigie, i saluti, le telefonate e tutto il resto. Penso che uscire di casa sia un gesto importante che regala moltissimo: una mente più aperta, maggiore tolleranza, maggiore curiosità, e questo è bellissimo. Ma non toglie che ci siano dei momenti di nostalgia!
Eliminaps: Benvenuto ;)
Cioè, vabbè. E'come se tu mi avessi strappato le parole dalla testa. Cinque anni via di casa (di 'soli' 400 km), all'inizio non vedevo l'ora, all'inizio non erano mai più di 5 giorni e poi ripartivo, e stavo benissimo. Ora che il tempo passa, ogni volta ripartire è uno strazio, i giorni non sono mai abbastanza, invidio chi è rimasto ed è sereno (ma mi chiedo: io ci sarei riuscita?), vorrei mia madre a pranzo e mi manca come mai. E'come hai detto tu: guardare una festa da dietro i vetri. Come si fa? Lilaccì sloggata (silviopellicostavameglio.wordpress.com)
RispondiEliminaAbbiamo tante cose in comune... io non lo so se ci sarei riuscita, a restare a casa, né so se riuscirei a ritornarci definitivamente (anche ammesso - cosa impossibile - che il ritorno comprenda un lavoro stabile lì e un consorte pronto al trasferimento)... e la verità è che non lo so proprio, come si fa!
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